Angelo, l’arrotino di via Montalbo

Questa è una storia ingiallita dal tempo, piena di rughe. Una foto che narra ricordi di vite argentee e affilate come lame: lucenti e vivaci come le luci degli anni ’60 e i sogni di giovani vite che popolavano le strade di un quartiere diviso nell’anima, tra i cantieri navali, le botteghe di famiglia e i mercati di una città tutto porto con le scarpe bagnate dal mare e il capo protetto dai santi dei suoi monti.

È un pomeriggio d’estate del 1984 e dalle finestre in casa di Leonardo, mio nonno, dipendente dei cantieri navali di Palermo, si stagliano alte le grandi gru della Fincantieri, madre di una Palermo operaia che oggi non esiste più.
Le finestre del suo appartamento, all’angolo tra via Ammiraglio Persano e via Ruggero Loria, godono ancora della stessa luce degli anni ’60; tutto è pressoché immutato e nello stesso tempo in piena trasformazione, anche se poi non ha tanta importanza perché sempre di via Montalbo si tratta: un rione dove le pietre restano pietre e gli uomini fanno la storia di una città.

Seduto su di una panca intagliata a mano, mio nonno, con addosso solo la sua storica canottiera Ragno, comincia a raccontare la storia di Angelo, Anciluzzu per la precisione, figlio di quell’arte dell’arrangiarsi che trasforma semplici uomini in miti.
Anciluzzu Ammolacutieddi, l’arrotino di via Montalbo, era solito spostarsi a cavallo di una Motom 48 D, insieme all’inseparabile martello che utilizzava come pistola contro i monelli del quartiere e chiunque non gli andasse a genio. Sanguigno, eclettico, allegro, imprevedibile, tra un coltello e l’altro era solito dare fuoco alla tanga della moto con i mozziconi delle sue Alfa; così, giusto per passare il tempo e attirare un po’ di clientela. Non si sa bene cosa gli passasse per la testa, ma chi lo ha conosciuto potè giurare di avergli visto più volte roteare il martello allo stesso modo e con la stessa mimica di John Wayne, recitare frasi concitate, in lampi improvvisi, come le Colt che sparano in silenzio, nel deserto: “Puoi trattare con la gente per bene, non con le bestie come Chaney”, imitando il Grinta.

Angelo è stato anche un venditore di fumetti: quei Tex in bianco e nero a cui tanto assomigliava; un “semenzaro” ambulante davanti i suoi amati cinema: lo storico Cinema Manzella e le Arene sul mare; un artista della vita suonata ad orecchio, a volte stonata, improvvisata e per questo meravigliosamente intensa e comica nel suo tragico trascorrere; un cowboy nato nell’epoca sbagliata che, nel fermare un carro funebre trainato da cavalli, nello sgomento generale, spezza quel religioso silenzio urlando al cocchiere: “Hey Jhonny, scendi dalla diligenza!” così, senza rispetto, forse solo per far ridere o per quello scherzo che è la vita nelle lunghe strade.

C’è chi lo definiva un pazzo: il frutto della miseria della guerra a cui partecipò e degli stenti di chi ha lasciato consumare la propria tela bianca dalla vita, in un batter di ciglia, solo per aver chiuso gli occhi sotto la magia della pioggia nel susseguirsi delle stagioni, senza lasciar spazio ad altro se non alle rughe, ai coltelli, alle cicatrici e a quel martello in mano, simbolo dell’arrangiarsi, sempre pronto a sparare, raccontando di un uomo, più di quanto si possa immaginare.

Che poi, non è che gli altri se la passassero meglio: mio nonno raccontava e diceva che si finiva al cantiere navale se eri fortunato, per poi scioperare, mettere la città a soqquadro e rivendicare diritti mai riscattati; oppure al mercato ortofrutticolo già alle tre di notte, al gelo, scaricando frutta e verdura inseguendo la vita a morsi, come i cani al di là del cancello, nelle notti tutte uguali, in cui gli unici a sognare sono quelli sopra di te dentro il loro letto caldo, per cosa poi? Sparire dopo 60 anni sempre allo stesso modo, sotto la stessa terra e senza il piacere di aver estinto il mutuo… È questa la vita normale?
Ma andiamo… meglio Angelo, molto meglio farlo mentre tutti ridono e lasciare al cielo il beneficio di qualche goccia di pioggia, prima della curva, prima di sparire, con il sorriso sulle labbra.

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