Time

https://www.youtube.com/watch?v=JwYX52BP2Sk
Mettete pure play e, poi, leggete.

“C’è sempre un orologio che ci assedia con il suo ticchettio, e diecimila altre cose da pensare e da fare subito dopo. Abbiamo interi calendari srotolati davanti. Così il futuro si mangia il presente a una velocità furiosa e lo rigurgita subito nel passato, non te lo lascia mai tra le mani e davanti agli occhi abbastanza a lungo” (De Carlo A., 2007).

Corre oggi l’anno 2017, e su esso una “sindrome temporale” caratterizzata da una rinegoziazione del significato del tempo: si parla di epoca del presentismo e dell’istantaneità (Muscelli C., Stanghellini G., 2012), di una “civiltà del transitorio” (Bauman Z., 2008) che trapianta l’uomo nel carpe diem della momentaneità, e ancora, con Hylland Eriksen (2003), di una “tirannia del momento”; etichette, queste, tutte caratterizzate da “una vita di corsa” (Bauman Z., 2008) plasmata dalla cultura della fretta e dell’adesso, il cui “messaggio latente è: ‘affrettatevi, non c’è tempo da perdere'” (ibidem). Perché entro questa temporalità contemporanea l’uomo “non può mai fermarsi. […] Ciò che bisogna fare è correre con tutte le forze” (Bauman Z., 2005); fermarsi o rallentare o prendersi tempo rappresentano IL pericolo. 

Ma si chiedeva già Agostino (2012): “Che cos’è il tempo?”, ovvero questo attuale tiranno che non possiamo fermare, rallentare né prendere per noi stessi, per nutrire la nostra soggettività? La scienza ha risposto a questa domanda attraverso quello strumento di precisione che è l’orologio, marchingegno razionale per eccellenza in grado di scandire i ritmi di vita dell’uomo. Tuttavia, ben prima degli orologi, gli antichi greci attuavano la saggia arte della distinzione e, per indicare il tempo, usavano due parole: chronos e kairos. Kairos rappresentava il tempo qualitativo: divinità effimera e alata del tempo opportuno, del momento propizio, adatto, conveniente, della buona occasione. Chronos era invece il tempo quantitativo, cronologico e sequenziale, nato come divinità in grado di spiegare i cicli dell’anno agricolo e gli aspetti connessi alla fecondità. Chronos che, però, nella Teogonia di Esiodo ingoiava i figli appena nati per evitare di esserne spodestato; già tra i greci, esso incarnava infatti anche l’archetipo di un tempo che divora tutto ciò che egli stesso ha generato.

orologio molleEd è proprio sull’attualità del cannibalismo di Chronos e sulla sua logica strumentale che quest’anno scelgo di FERMARMI a riflettere. Libere, immaginifiche, associazioni mi hanno portato sugli orologi molli di Dalì, simboli di un tempo imposto che si sforma, si tras-forma e a volte implode. Scopro così che Dalì ritraeva, attraverso quegli orologi che si sciolgono al sole in un paesaggio quasi surreale, null’altro che il tempo istituzionale e istituzionalizzato che si deforma e deflagra sotto il peso della soggettività. I suoi orologi rappresentano infatti il rifiuto di un concetto di tempo meccanico e fagocitante, laddove l’artista avvertiva piuttosto la necessità di spostare l’attenzione sull’aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella percezione umana, assume una velocità e una connotazione che segue la logica soggettiva: gli orologi non possono funzionare ugualmente per tutti! Era il 1954 e il genio folle di Dalì dipingeva l’esistenza dell’uomo come un “Orologio molle al momento della prima esplosione” ispirandosi alla teoria della relatività e alla consistenza molliccia del Camambert. E poi c’è Heidegger (1998): anche lui criticava la concezione oggettiva del tempo, suddivisione arbitraria e standardizzata dalla scienza, e dunque creazione di essa stessa …e non dell’umano! Il tempo è per lui il tempo dell’esistenza soggettiva, il “sentirmi” agostiniamo legato all’interiorità dell’io. “…Magari!”, mi dico, pensando alla temporalità che struttura il contemporaneo e avvertendo la necessità ribelle di sformare un divorare veloce, imposto, non nutritizio, seppur percepito come necessario. E non è un caso che colonna sonora di questi pensieri sia Time dei Pink Floyd, col suo sommesso ticchettio di orologi poi interrotto da un frastuono di sveglie e pendoli pazientemente sincronizzati per squillare nello stesso istante. Il testo recita: […] E tu corri e corri per raggiungere il sole, ma sta tramontando E sta correndo attorno per spuntarti di nuovo alle spalle Il sole è lo stesso, relativamente, ma tu sei più vecchio Col respiro più corto e un giorno più vicino alla morte Ogni anno si fa più breve, sembra che non si trovi mai il tempo Progetti che finiscono nel nulla o in mezza pagina di righe scarabocchiate Appesi ad una quieta disperazione […]”.

Dove vivevo fino a novembre, ovvero a casa dei miei nonni – instancabili lavoratori fino a un paio di anni fa, quando all’età di 85 anni mio nonno decise di andare in pensione sul serio – un giorno ho contato 32 orologi. Time potrebbero averla registrata lì. Ciò nonostante, io ogni tanto toglievo le batterie da qualcuno dei 32. Il motivo? Non è la psicosi, ma la necessità di essere il soggetto della mia temporalità, di riappropriarmi del mio tempo: tempo autentico (Heidegger M., 2011), versus tempo INautentico della “Cura” come perdersi negli affanni della quotidiana contemporaneità (ibidem). …E c’è davvero chi vuole che ci restiamo persi, lì dentro (ché se ti fermi non consumi, e mica sono quisquilie!). Noi ci cadiamo e spesso, ogni volta che pensiamo presuntuosamente di poter/dover fare e sfare e rispondere (di corsa e bene!) ad un tempo omogeneo, assoluto, uguale per tutti o comunque NON MIO: le bollette, le palestre & le magrezze, le mode, le scadenze, le prestazioni, le lauree, le acconciature, le scarpe, i regali di Natale e i compleanni (pure i compleanni) o le stagioni e i capodanni (che croce i capodanni!).

Io ho sperimentato sulla pelle che, in quanto “uomo”, non ne sono sempre in grado; che sono stanca; che non sempre posso stare sul pezzo e fare il cambio di stagione in tempo. “Essere in tempo”…: forse, non è questo un costrutto adatto all’essere umano, come non lo è l’onnipotenza che il culto dell’istantaneità puntiforme propone. Ce lo fanno credere per comodità, ma non lo è. Piuttosto, “il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco” (Borges J.L., 1973): io sono il mio tempo. Che mi piaccia o no, posso (e dovrei) (ben?) scegliere!
…Ma qui so’ cazzi.

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Agostino (2012), Le confessioni, a cura di Reale G., Bompiani, Milano.
Bauman Z. (2008), Vite di corsa, Il Mulino, Bologna.
Bauman Z. (2005), Vita Liquida, Editori Laterza, Roma-Bari.
Borges J.L. (1973), Nuova confutazione del tempo, in Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano.
De Carlo A. (2007), Pura vita, Bompiani, Milano.
Heidegger M. (1998), Il concetto di tempo, Adelphi, Milano.
Heidegger M. (2011), Essere e tempo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
Hylland Eriksen T. (2003), Tempo tiranno. Velocità e lentezza nell'era informatica, Eleuthera, Milano.
Muscelli C., Stanghellini G. (2012), Istantaneità. Cultura e psicopatologia della temporalità contemporanea, Franco Angeli, Milano.

3 thoughts on “Time

  1. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire… E non ci sono cazzi.
    Prima o poi ci riprenderemo anche questo…

    • Caro Marco, il prossimo post sarà ancora sul tempo, poi qualcosa sulla morte (se trovo il modo giusto per pubblicare un post su qyesto). Ci hai visto bene in un certo senso (inconsciamente di certo); e grazie delle tue letture attente. Ma sul finale utopico…. bisogna lavorare ;)
      A proposito di “fermare” la corsa: quel caffettino? Magari coinvolgiamo anche la Baiamonte e ti narriamo i retroscena dei reading, così ti iniziamo psicologicamente :P

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