Approdo dentro a una farsa

di Lucia Immordino

Ci vogliono parole nuove, mai usate o suoni da ri-accreditare.
Lemmi gentili che contengano le note amabili del per favore, del grazie, del sorriso lieve dei denti bianchi e delle labbra turgide al punto giusto, ma naturali, e degli occhi luminosi dell’accoglienza.
È stato smarrito – sembrano tanti mesi ma è solo da poco più di un anno – il senso dell’uomo, del suo concetto sostanziale, dell’allungare la mano al fratello, della comunione nello spezzare un pane laico.
Pensieri radi, vocaboli pochi, gesti limitati.
I segni ci sono tutti.

Non l’essenziale della sollecitudine ma il quanto basta per frantumare l’altro nella morsa di un’idea comune di odio e di orrore.
Non vibrazioni dell’amigdala ma rutti di motivazioni del ventre e rigurgiti di interpretazioni che oltraggiano e avviliscono un’umanità già colpita.
Cosa siamo divenuti? Chi conviene a questa porzione di sedicenti umani che ha ridotto la propria prospettiva a un palmo scarso dal suo ego?
Umilia l’incompetenza.
È servile e mortificante un sì detto non a denti stretti ma connivente con il più forte.
È disumano quel consenso che non sia contenuto dentro un’intelligenza, una chiarezza di intenti, una disponibilità.

Anime sommerse in un Mediterraneo incolpevole, carico solo della tracotanza di chi si trova allo zenit della propria parabola e del suo seguito ellittico.
Questo tracimare di borie finirà.
Si prosciugheranno l’arroganza, la presunzione, la vanagloria e la loro arsura sarà benedetta.
Esistenze sprofondate nell’abisso di un mare innocente, colpevole solo di essere un’idea di salvezza dalla tragedia ma con approdo dentro a una farsa.
Alcuni si sono proposti come il cambiamento, altri si sono presentati come l’Atlante che sostiene il mondo ma tutti sono stati fatti a pezzi da una Medea euripidea che li ha offerti, durante la cena, al padre Giasone.

Nel tempo lineare tutto ciò sarà reso e le cifre saranno alte.
Quello stesso tempo che col suo scorrere prevede prese in carico di obblighi, di posizioni: l’accrescimento di un dovere personale, l’ampliamento di una responsabilità collettiva, il rischio della perdita della propria libertà nel tentativo di trovare soluzioni buone alle difficoltà di un’umanità ferita.
È sempre il tempo che, nella sua caratteristica euclidea, unidirezionale, costringe l’uomo a fare i conti con un’incontrovertibile estensione in avanti, con un indiscutibile progresso e che, se disatteso, reclamerà un reso elevato.

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