L’ultimo concerto? Lo avete voluto voi! La cultura non è nemica della salute pubblica

Mi rivolgo ai fruitori, assistenti e creatori di cultura. Premessa importante: questo è solo un blog e io non sono una giornalista né tantomeno una critica di settore. Sono solo una donna che vive in Spagna – paese dove l’industria culturale non si è mai data per sconfitta ed ha lottato – e che si chiede: “perché i miei amici in Italia non possono assistere ad un concerto mentre io sì?”. E allora mi sono informata, volevo capire, non mi capacitavo! Ho letto un sacco di roba fino a farmi venire il mal di testa, e non attraverso fonti del tipo “non cielo dicono” ma sui siti di testate giornalistiche e su quelli istituzionali di associazioni e governo. Qualche idea in merito me la sono fatta e vorrei condividerla con voi. P.s. non mi scuso per il turpiloquio.

A Barcellona 5000 mila persone per un concerto

La notizia recentissima made in Spain è che il 27 marzo, nel Palau San Jordi di Barcellona, ben 5000 persone potranno assistere al concerto dei Love of Lesbian, senza mantenere distanza sociale ma indossando mascherine fornite dall’organizzazione. Le autorità catalane hanno presentato l’evento come una sorta di “studio clinico”, un esperimento di salute pubblica che tra l’altro non è nemmeno il primo in quanto lo scorso dicembre ne erano stati organizzati uno a Madrid (sempre con 5000 persone) e un altro a Barcellona (di 500 persone nella Sala Apolo): tutti e due con zero contagi. Tra le misure di sicurezza sarà fatto ai partecipanti un test rapido prima di assistere al concerto, l’area per gli spettatori verrà divisa in settori con entrate ed uscite proprie e verranno incrementati i punti di ventilazione. Il Palau San Jordi è una struttura multifunzionale che può ospitare 20mila persone, le 5mila che saranno ammesse ad assistere al concerto pagheranno un biglietto d’ingresso di soli 23€. #micacazzi

#Ultimoconcerto, l’evento che ha fatto discutere

Qualche giorno fa ha fatto molto discutere la protesta #ultimoconcerto. Molta gente ha condannato l’evento sentendosi “perculata”, altra ha difeso a spada tratta l’iniziativa e altra ancora ne ha cavalcato l’onda mediatica. Personalmente penso sia stato un dispendio di energie ma comunque utile in quanto è servito ad aprire un dibattito critico sull’argomento. Lo stesso evento era stato organizzato in Spagna nel novembre scorso (elultimoconcierto.com) ma personalmente non me n’ero nemmeno accorta, per farvi capire la grande eco che ha avuto… I “cugini” italiani hanno seguito gli ispanici appoggiati dalla rete Live DMA. Ma cosa succede agli italiani? Secondo me sbagliamo a copiare: invece di copiare eventi del genere perché non copiare lo sforzo e l’impegno organizzativo degli spagnoli nelle proteste e nelle iniziative?

Alerta Roja, un esempio da copiare ed oltre.

Adesso, buoni buoni, andiamo tutti a visitare il sito di Alerta Roja e a vergognarci. I più contriti, per favore, in ginocchio sui ceci! Si tratta di un’associazione che si è costituita come “Movimento che unisce l’industria degli eventi e degli spettacoli” e che raggruppa più di 150 organizzazioni tra federazioni, associazioni, piattaforme e movimenti partecipativi. Sul sito – fatevi aiutare da google translate – leggiamo manifesti con richieste più che mirate al governo, leggiamo di impegno politico e di manifestazioni ben riuscite con proteste a volte dure ma necessarie. Alerta Roja si batte davvero e con tutti i mezzi per la cultura e per i lavoratori del settore, siano essi autonomi o con contratto, disoccupati o in cassa integrazione. Un patto con lo Stato, ché detta così fa molto Hobbes, Locke e Rousseau ma che in realtà è quello che è riuscita a proporre l’associazione con l’aiuto e l’appoggio di altre importanti realtà culturali musicali spagnole, anch’esse da poter prendere come esempio: l’AA, associazione audio-video; l’AMPE, l’associazione di musicisti professionisti spagnoli con più di 50mila associati; ES_MÚSICA, la Federazione musicale spagnola; naturalmente i sindacati come CCOO, il sindacato degli operai; CGT Confederazione Generale dei lavoratori; CST Músicos, il coordinamento sindacale dei lavoratori del campo della musica; TACEE Sindacato dei Tecnici Audiovisivi e Cinematografici spagnoli.

Cosa ha fatto il Governo?

Mi sa che è stata fin dall’inizio una questione di organizzazione e misure adottate dal Governo, quelle che ci hanno fottuto! C’è da dire che in Spagna il governo non è centralizzato e le diverse regioni hanno molta autonomia, but still… Lo scorso 26 gennaio il governo centrale spagnolo ha approvato un decreto che prevede un pacchetto di aiuti per il collettivo di artisti “no protegidos por el ERTE” (cioè che non godono di cassa integrazione). Più nello specifico si corrisponde 775,83€ al mese come “disoccupazione straordinaria” agli artisti lavoratori per conto di aziende in ambito culturale, che si trovano in un periodo di inattività a causa della crisi provocata dal covid-19 (anche, e ovviamente, se non hanno i requisiti necessari per richiedere la disoccupazione). In Italia queste persone sono andate a raccogliere i pomodori nelle campagne per sfamare i figli dato che non gode di nessun aiuto. Si tratta di un’aggiunta al già pubblicato decreto dello scorso novembre che lasciava fuori dagli aiuti economici certi soggetti e contro il quale Alerta Roja aveva fatto rumore.
E a noi? Il governo ci ha fottuto? Perché questa differenza tra le misure prese dallo Stato Italiano e quello Spagnolo in merito agli aiuti e alle misure stabiliti per il mondo della cultura e in particolare della musica? Le organizzazioni culturali in Spagna si impegnano fin dall’inizio della pandemia a non rimanere indietro. In un clima italico dove sulle poltrone di uno degli eventi di maggior interesse culturale come il #festivaldisanremo appaiono palloncini colorati, continuo a chiedermi, perché in Spagna sì e in Italia no?

Salvaguardare la salute pubblica: #lamusicachegira vittima della retorica

Qualcosa di vagamente simile ad Alerta Roja lo avevo visto nelle intenzioni de lamusicachegira.it – ma proprio vagamente, eh! Comunque una cosa riportata sul loro sito mi ha fatto riflettere: nel loro documento si legge che

Settori Culturali e Creativi (SCC) di tutta Europa sono stati duramente colpiti dall’emergenza COVID-19. In Italia, già da febbraio, prima volontariamente e poi obbligatoriamente, tutti gli eventi dal vivo e gli spettacoli sono stati cancellati mentre teatri, musei, sale concerti, live club e spazi culturali, con il loro carico di professionalità, hanno interrotto le loro attività per salvaguardare la salute pubblica.

“Salvaguardare la salute pubblica”. Mi rimbomba nel pensiero – “salvaguardare la salute pubblica” – e mi chiedo: ai musei e alle sale eventi spagnole, aperte fin da maggio dell’anno scorso, non gliene fotte nulla della salute pubblica? In quest’ottica sarebbero da denunciare alla Commissione dei Diritti Umani! Oh no! Il Museo delle Belle Arti mi vuole fare fuori! Il Teatro de la Maestranza di Siviglia nuoce gravemente alla mia salute! Ma – hey – io sto bene! E i miei amici spagnoli che vivono di cultura stanno bene pure loro, mangiano, escono e ridono.
Del resto è tutta una questione di retorica, la lotta contro un nemico invisibile – di cui ha ampiamente parlato Capovilla in un articolo interessantissimo – si unisce al concetto secondo il quale determinate misure esistono come rimedio necessario e inevitabile. Non ne volevo fare una questione ideologica né tantomeno politica, volevo solo farvi riflettere su un fatto: se in un altro posto certe cose sono possibili, perché a casa nostra no? In Spagna i musei sono aperti da maggio scorso, tramite prenotazione e con ingressi per fasce orarie. I live club sono aperti da sempre, con restrizioni, o proponendo concerti live-streaming a pagamento. I musicisti annunciano tour, girano videoclip, partecipano a programmi e rilasciano interviste, si spostano, si muovono. I teatri propongono spettacoli nuovi ogni settimana e i cinema hanno anticipato gli orari d’apertura. Il tutto ovviamente con misure di sicurezza e restrizioni. Ci sono tante misure che possono essere messe in atto per “salvare la cultura”. Per esempio, per il concerto dei Love of Lesbian di cui sopra e tutta una rete di concerti simili è stata creata appositamente un’associazione: Festivals per la Cultura Segura.

Se poi però vi lamentate perché “non è lo stesso andare ad un concerto dove siamo la metà e stare seduti”, “non è lo stesso andare al cinema alle 3 di pomeriggio”, “non è lo stesso fare un concerto in streaming”, vi prego di non aderire a proteste atte a sensibilizzare la rinascita del settore o, peggio ancora, a sostenere i lavoratori nel campo della musica e della cultura.

Lo abbiamo voluto noi?

Il governo ha la sua grande colpa, lo sappiamo. Però invece di organizzarvi per inchiodare utenti web davanti ad uno schermo silenzioso, perché non vi organizzate meglio e inchiodate ad un tavolo politici e assessori? Copiate la Spagna! Non nelle minchiate ma nelle azioni e nelle proposte, nella voglia e nell’intraprendenza. Gli esempi ce li avete! Non piangete coi discorsi di Pannofino e Lodo Guenzi a Sanremo, ribellatevi al lavaggio del cervello che vi stanno propiziando: la cultura non è nemica della salute pubblica! LA KULTURA POI TI KURA (cit.).

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.