Pepì e il sacco di grano

Pepì era poco più che un un pullo di Cornacchia quando fu cacciato dal nido, non aveva ancora imparato bene a volare. Aveva compreso però come lo stormo era organizzato e aveva osato manifestare il suo dissenso al padre.

Il padre di Pepì, Don Gigì, era una cornacchia Testaverde, così come suo zio e i Testaverde dettavano legge nella contrada Sulifoco.
Gli avi di Pepì avevano stretto un patto col mezzadro Sucameli e così i suoi figli, di generazione in generazione, lasciavano ai corvidi un sacco di grano ogni luna piena. I Testaverde in cambio “proteggevano” il campo di grano (cioè non lo razziavano). Dello spaventapasseri rimase così solo un lontano ricordo.

Lo stormo, che aveva nidificato su un enorme secolare castagno, si divideva in due famiglie: i Testaverde, dal piumaggio verde cangiante, e i Zampanera, che costituivano la maggior parte dello stormo. Tutte le cornacchie rispettavano l’accordo con i contadini Sucameli, ma erano i Testaverde a distribuire il grano pattuito e a tenere la fetta più grossa. Gli Zampanera oltretutto dovevano versare ogni giorno ai Testaverde tutti i lombrichi e gli insetti che catturavano in cambio del poco grano che era a loro concesso. Se qualche Zampanera versava un magro raccolto veniva beccato a morte degli scagnozzi Testaverde su ordine del capostormo, Don Tano Appollaiato.
Pepì, comprese le ingiustizie perpetrate dai Testaverde a cui lui apparteneva, rinnegò il suo rango e si spiumò di ogni sfumatura verde che portava al capo. Suo padre Don Gigì, cornacchia d’ “onore”, scacciò Pepì fuori dal nido, lo ripudiò e lo lasciò al suo triste destino.

Pepì non si perse d’animo, trovò amici tra i Zampanera che vivevano tra i rami più bassi del castagno. Molte cornacchie erano stufe delle ingiustizie messe in atto dai Testaverde e Pepì si fece portavoce del malcontento di quella maggioranza. Molti Zampanera però starnazzavano a bassa voce per paura di ritorsioni e anzi intimavano a Pepì di stare zitto. Pepì invece non aveva paura, così si candidò come supervisore della equa distribuzione del grano e promise ai Zampanera di porre fine alle diseguaglianze. All’ombra del castagno la giovane cornacchia starnazzava dei soprusi dei Testaverde, suo padre compreso. Il suo grido sbeffeggiante divenne canzone; la canzone giunse così forte nella vicina grotta Autaut che fece eco e giunse amplificata 100 rami più in su alle orecchie di Don Tano Appollaiato, in cima al castagno. Il Don non poteva sopportare il canto sbeffeggiante del rivoluzionario Pepì, ma non poteva neanche farlo diventare un martire facendolo assassinare davanti a tutti. Così ordinò ai suoi scagnozzi di beccarlo a morte e di buttare il suo corpo nel sacco di grano, facendolo sembrare un incidente.

Così, il giorno dopo, durante la distribuzione del grano, sul fondo del sacco fu ritrovato il cadavere ingordo di Pepì, “Morto per aver tentato di abbuffarsi di nascosto del grano dello stormo…”, così disse Don Tano Appollaiato, “…lui che si era candidato per l’equa distribuzione del grano! Questi sono i vostri eroi?” aveva concluso.

Pepì, e la sua lotta, furono ingiustamente screditati, ma non agli occhi dei suoi compagni rivoluzionari che non credevano alla sua colpevolezza. Essi si batterono per scoprire la verità; così esaminando il cadavere di Pepì trovarono delle piume verdi nel becco, i segni delle beccate su tutto il corpo. Lo stomaco di Pepì era inoltre vuoto. I compagni rivoluzionari mostrarono ai Zampanera riuniti sotto il castagno le prove dell’innocenza di Pepì e fecero confessare un pentito Testaverde che ammise che l’ordine di esecuzione era partito da Don Tano Appollaiato. Gli Zampanera, uniti dal grido di giustizia, rovesciarono il governo dei Testaverde e Tano Appollaiato divenne Tano Volante (non grazie alle ali), il grano fu da allora distribuito in modo equo e ogni cornacchia poté tenere per sé il cibo raccolto. Di Pepì rimane la leggenda e l’eco del suo starnazzare contro i soprusi. Ancora oggi, passando per i campi della contrada Sulifoco, si può udire il canto di Pepì proveniente dalla grotta Autaut che ne conserva memoria, un canto così potente da sostenere chi si ribella alle ingiustizie e ai soprusi.

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