Quella volta che una mosca fermò il mio cammino

Questa è la metaforica storia breve di quella volta in cui una mosca ha fermato la mia auto con un solo colpo. Certo, le è costata la vita…

Ero sull’autostrada, avevo già percorso 100 km e mi aspettavano altri 300. Qualche sassolino si era già schiantato, ma in genere così piccoli non causano danni, solitamente lasciano solo un piccolo segno sul parabrezza, che si può sentire grattando con le unghie il vetro. Niente di che. Bisognava evitare di stare dietro ai camion soprattutto. Avevo lavato l’auto il giorno prima e quel pomeriggio d’estate c’era un continuo sciamare di farfalline e moscerini che si schiantavano sul muso e sul parabrezza. A un certo punto ho dovuto azionare il lavavetri.
Non ho prestato attenzione al camion davanti a me e all’improvviso un sassolino più grosso si è schiantato sul parabrezza, lasciando un evidente segno. Era solo un piccolo puntino bianco, ma mi sono fermato lo stesso all’autogrill per valutare il danno. Frugando tra gli attrezzi, mentre cercavo del nastro isolante per coprire la lesione, mi tagliai. Cominciavo a sanguinare da un dito, ma non ci ho fatto caso e ho continuato a cercare. Non c’era nastro, forse al negozietto avrebbero avuto qualcosa, ma ho deciso che ero troppo in ritardo sulla tabella di marcia, avrei portato l’auto da ReparGlass il lunedì seguente.

Lì l’ho vista per la prima volta. Una mosca verde cangiante, orrendamente bella nel suo colore metallizzato, fiera, mi ha ipnotizzato per un istante. Era appoggiata sul mio dito sanguinante, non so da quanto tempo, il suo addome era intriso di sangue. L’ho scacciata istintivamente e ho colpito anche il vetro con la fede, pentendomene subito dopo. Scappava la codarda facendo un gran rumore. Aveva davvero deposto la sua strisciante prole nella mia ferita? Ho sciacquato il dito con una bottiglietta d’acqua, neanche fosse benedetta, ma sentivo che qualcosa stava crescendo dentro di me, mi sono convinto però che fosse solo un’impressione. Così ho preso un caffè, mi sono lavato ben bene le mani e ho ripreso il viaggio. Ogni tanto guardavo il segno bianco, ogni tanto la mia ferita fecondata. Provavo rabbia, ribrezzo, senso di impotenza, ero anche in ritardo. Ho guardato nuovamente il segno bianco sul parabrezza, poi un altro schianto sullo stesso punto e del sangue. Quella bastarda mosca verde si era suicidata sul mio parabrezza, bene così! Mi guardava ancora con i suoi mille occhi aperti e morti, scomposta sulla macchia di sangue, il mio. Non ho provato il senso di colpa che normalmente avrei provato. Ho azionato con sufficienza il tergicristalli, il mio sangue si è diluito col liquido lavavetri e si è sciolto sull’asfalto.

Il vetro era nuovamente pulito, rivelando una crepa sul puntino bianco. Dovevo fermarmi da qualche parte, non potevo andare avanti, era necessario del nastro. Su un ponte ho cominciato a sentire i giunti d’espansione, a ogni gradino la crepa diventava più grande e all’ultimo sasso mi ha investito una pioggia di cristalli e poi tanto caldo vento.

Ho viaggiato sino alla prossima piazzola di sosta senza alcun parabrezza che mi proteggesse da moscerini, la bocca era serrata, si era già riempita di insetti alla prima imprecazione. Alla piazzola la mancanza del vetro mi ricordava quanto era caro, proteggeva il fresco dell’aria condizionata al riparo dalla calura estiva e dalle zanzare. Sono rimasto senza vetro e senza parole. Ho chiamato il carro attrezzi e ho cercato un b&b vicino a un ReparGlass, quel weekend era ormai andato, lo avrei passato a pensare a cosa avrei dovuto fare.

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