Sul “dover essere” (o sui nuovi sistemi di sicurezza)

Vi è mai capitato di notare come si sia passati dalla unilinearità del futuro alla moltiplicazione claustrofobica delle possibilità?

Ricordo la lettura di un libro di storia a casa dei nonni paterni; nel paragrafo in oggetto si specificava che “c’era una volta” in cui il destino del figlio era segnato dall’ehi fu destino del padre, quindi un fabbro di norma generava un fabbro. Difficile la scalata sociale. Difficile il sogno ad occhi aperti. Tutto molto chiaro e sovra-determinato. Un perfetto sistema di sicurezza per garantire l’ordine sociale!

L’introduzione delle sbavature, delle culture interrogative dei “Maestri del sospetto”, delle varie rivoluzioni industriali… hanno sparigliato le carte e probabilmente permesso ad esempio a me di essere ciò che oggi sono diventata, pur proveniendo da un nonno paterno prima panettiere e poi musicista nella banda del paese e da un materno figlio di stirpe di cuochi (e questa, rispetto alle sue origini umili, era già stata una grande scalata sociale). Le antenate donne, manco a dirlo, casalinghe, a eccezione della mia mitica nonna, braccio destro del nonno nella suddetta scalata sociale come chef.

Comunque, detto così sa di apertura, di grandi possibilità, di libertà e di realizzazione papabile ora per tutti. Ma siamo sicuri che sia ancora davvero così?

Credo che ci siano innumerevoli motivi per cui non è così neanche nel nord occidentale del mondo.
Non sono sufficientemente qualificata, nonostante il salto socio-culturale del mio transgenerazionale, per analizzarli tutti. Tuttavia, dal mio piccolo angolo visuale, una cosa la vedo per certo: se in passato i “sistemi di sicurezza” che regolavano il funzionamento socio-politico erano determinati dai vincoli di ceto e di stirpe, oggi, anche nel nord occidentale del mondo, esistono altri sistemi di sicurezza, forse anche più subdoli.
Vi è mai capitato ad esempio di ritrovarvi a parlare con uomini, donne e ragazzini privi di aspirazioni particolari, ma che vivono il generico DOVERE di dover diventare qualcuno e velocemente?

“…Non so cosa farò, ma io sono ambiziosa! Devo diventare più importante di S.!”
“Il mio obiettivo è fare carriera”
“Nella vita, voglio essere ricca!”
“Se non sono sempre al top, spreco il mio futuro!!!”
“Devo dire sempre sì, altrimenti non sarò abbastanza brava per costruire il mio futuro!”
“La mia RAL è sempre la stessa, devo cambiare lavoro, per riuscire in questo mondo si fa così!”.

O anche:
“Oggi ho l’angoscia perché mio padre dice che, siccome non voglio una laurea, potrò solo pulire le scale…”
“Sono un fallito perché a 24 anni ancora non sono laureato e sono vecchio!”
“Aspetto l’esito di circa 12 concorsi, ma non so veramente cosa vorrei fare da grande…”
“Il mio problema è che non sono abbastanza ambizioso”.

Cosa vi comunicano frasi così?
A me, ogni volta che le sento, generano un senso di oppressione, di obbligo, di diktat su chi-come-quando-e-quanto si DEVE essere.
E mi capita quotidianamente di sentire frasi simili… Di accogliere la depressione, l’ansia, il senso di minaccia e di sconfitta e di indegnità schiacciante di uomini, donne e ragazzini che non si sentono in grado di essere come DOVREBBERO essere secondo le aspettative di un mondo sociale in cui “se non sei qualcuno, non sei nessuno”. E ma… se sei qualcuno? Probabilmente sei invero il signor Nessuno, dato che spesso non sai davvero chi sei, limitandoti a identificarti coi follower e con la Ral.
Tuttavia… va bene! Perché sei “qualcuno” per quel tipo di mondo neo-liberale lì: quello in cui non conta se ti sei individuato, ovvero realizzato in termini di desideri autentici, soggettivi, indefiniti a priori… Conta sapere chi sei in base alla cifra annuale che guadagni o al livello che occupi nell’organigramma aziendale (e se con maggiori o peggiori possibilità di ascesa carrieristica)!

Qual è allora qui la differenza rispetto a quel tipo di mondo che diceva che dovevi fare il barbiere perché lo era tuo padre o la madre perché la donna non ha altra scelta?
Io non ne vedo, non dal punto di vista di un futuro che si DEVE necessariamente costruire in un dato modo predefinito per essere guardato in un certo modo approvante da chiunque. Ecco perché penso si sia persa la moltiplicazione delle possibilità. Ecco perché sento rivoluzionarie le storie di rallentamento, decrescita, ritorno alla terra, sottrazione dalle lobby (per)formative, abbandono di lavori insoddisfacenti e di ritmi ammalanti, scelte di genitorialità consapevole, fanculizzazione delle burocrazie e delle task infinite che è prescritto svolgere per essere all’altezza… Ma de che? Non dei propri desideri, che spesso sono nascosti a noi stessi, prevaricati dalla voce del nuovo e perentorio significato del verbo DOVERE (ESSERE QUALCUNO), mentre invece abbiamo smarrito l’ESSERE e il SAPER ESSERE!

Aggiungerei, da ultimo, che il pesce puzza dalla testa.
Ogni volta, su questi strazianti racconti quotidiani di perdizione, io sento la puzza dell’idea che, se spendiamo capitali in formazioni, corsi, skills, titoli e titoloni, abilitazioni, attestati, investimenti, etc. etc. etc… saremo qualcuno, yeah! Sento proprio la puzza di un sistema politico-economico che ha creato questi nuovi sistemi di sicurezza, proprio delle cinture di sicurezza obbligatorie, per auto-sostenersi, illudendoci che, basta volerlo, possiamo – e quindi dobbiamo e, per converso, falliamo se non riusciamo! – essere qualcuno.

…Ma, cribbio! Chi?!?

3 thoughts on “Sul “dover essere” (o sui nuovi sistemi di sicurezza)

  1. Ma davvero credi a quel che hai scritto? Posso ribaltare tutto, parola per parola, con una quantità e qualità inverosimile di esempi tutti inopinabili e inoppugnabili.

    • Buonasera Dora, non mi esprimo per criteri inopinabili e inoppugnabili, ma sicuramente parlo con coscienza delle mie esperienze cliniche, personali e della letteratura scientifica recente che ho studiato.
      Abattoir.it nasce per favorire un contraddittorio dialogico e non giudicante, inviaci pure uno scritto o un commento sulle tue esperienze :) A presto!

  2. Non c’è bisogno spendere troppe parole: i punti di vista sono tanti quanti gli abitanti della terra dall’origine all’ ultimo respiro.
    I BIAS sono parecchi, probabilmente anche più dei punti di vista.
    Presa consapevolezza del fatto che il proprio punto di vista può essere viziato da bias, bisogna capire cosa sia possibile oltre al proprio punto di vista (o bias), cosa si auspica e se sia corretto diffondere il proprio punto di vista (o le proprie esperienze cliniche, personali e della letteratura scientifica recente che si ha studiato) come realtà assoluta. Proprio perché ho creduto alla “dialogicità non giudicante”, commento con una domanda che non ha nulla di retorico o giudicante.
    P.S. Nella frase ” Posso ribaltare tutto, parola per parola, con una quantità e qualità inverosimile di ESEMPI tutti inopinabili e inoppugnabili”, inoppugnabili e inopinabili non sono riferiti a “criteri” (parola, tra l’altro nemmeno presente nella frase), ma ad “ESEMPI”. Buona estate.

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