Bene collettivo vs Suicidio collettivo. Tu cosa scegli?

Strade in perfetto stile Grand Canyon, mirabilmente costellate da buche e dossi.
Posteggiatori abusivi che si moltiplicano in ogni dove più dei coniglietti nani in calore.
Tombini intasati che all’occasione si trasformano in bruttissime copie della fontana di Trevi.
Cartelloni pubblicitari che appestano qualsiasi forma di spazio pubblico.
Mezzi (a)pubblici anarchici.
Munnizza. E munnizza. E ancora munnizza ovunque. (Ma com’è che ancora non abbiamo il colera?)
Lavavetri ed elemosinanti a gogò ad ogni incrocio degno di tale nome.
Macchine affastellate ad ogni angolo di strada, una accanto all’altra, sulle strisce pedonali, nei posti riservati ai portatori di handicap e in tripla fila da ambo i lati (il concetto di doppia fila ormai ci fa un baffo, vecchio e sorpassato com’è dalla nuova modalità di posteggio a più strati della bella Palermo).

Certe città sono invivibili, invisibili nel loro silenzio anarchico, portatore di disordini-disagi-continui pedaggi morali di non so quale pena ancestrale; forse il fantomatico sottosviluppo, forse l’aleatoria inciviltà del sud, forse la barbara influenza della mafia.
Sono queste le categorie standard usate dalle 2 Italie, concetti vetusti, che, eppure, lasciano tutto immobile; più o meno da sempre.
E infatti, da sempre a Palermo, in Sicilia, manca il corretto utilizzo e gestione dei beni comuni, e questo si ripercuote inevitabilmente su noi stessi, ci disturba, ci crea disagio, ci porta ad una cattiva qualità della vita, forse all’emigrazione, anche.

Spesso mi chiedo quale sia l’unica strada percorribile per recuperare qualcosa di buono da questo pozzo nero in cui siamo allocati, impantanati nella melma come le rane in una palude. E sul fondo di questa palude, c’è il cittadino che, muto, non si ribella, accetta il giogo dello schifo, dei disastri permanenti, e continua a sopravvivere come i cavalli a cui mettono i paraocchi per poter continuare a camminare per la moderna città senza avere paura delle macchine, di un progresso che ormai li vorrebbe esclusi, relegati al silenzio delle stalle.

L’unica risposta, quando la politica disattende il rispetto per la qualità della vita degli esseri che governa, è la coscienza di classe, direbbe Marx. Similmente, l’unica risposta per creare una “società della consapevolezza”, per combattere la passività dilagante di noi cittadini e la distruttività imperante nella nostra città, è l’attivazione dei cittadini, dice il Comitato per il bene collettivo.

Come recita lo stesso sito,  il Comitato per il bene collettivo è una libera associazione di cittadini, apartitica, nata a Palermo e con estensione in tutta la Sicilia che si propone di sensibilizzare, promuovere, proporre e vigilare sui beni comuni della collettività Sicilia, quali ambiente ed elementi primari, denaro e altre risorse pubbliche, servizi collettivi, territorio urbano ed extraurbano, patrimonio paesaggistico, architettonico e artistico, identità culturale e immagine della Sicilia e dei Siciliani… secondo la linea guida che, per cambiare la realtà esistente non sia sufficiente il classico metodo siciliano della lamentatio, né quello altrettanto autoctono del nonvedo-nonsento-nonparlo.
Che fare allora? Sicuramente smettere di respirare passivamente, fare qualcosa appunto.
Quello che noi sicuramente possiamo, in mezzo a questo sfacelo, è cambiare i nostri comportamenti, agire, cooperare, informare, proporre idee, soluzioni, progetti, pretendere efficienza e il rispetto di una deontologia dello stare insieme e del condividere “beni“.
E’ necessario fare uno sforzo in più e costruire attivamente un nuovo modello di vita, di città, di rispetto per l’ambiente e per noi stessi che renda la nostra realtà più vivibile. Affinché in tutta la Sicilia si sviluppi una coscienza, una cultura e una prassi del bene collettivo che sovverta la sterile logica del “tornaconto personale“ presente in gran parte dei cittadini, nei nostri beneamati amministratori e, ovviamente, nelle imperanti organizzazioni criminali e in tutte le forme di connivenze da esse prodotte… che va inevitabilmente in direzione opposta al bene collettivo e sta portando la società, il territorio, l’ambiente al collasso e i cittadini più impegnati al suicidio collettivo.

Questo, in sintesi, il Manifesto del comitato.
Bello.
Forse utopico, per la nostra costitutiva e pigra inettitudine, ma bello.
Soprattutto per una città la cui amministrazione ha consapevolezza di cose come nuove aree-posteggio a pagamento, di nuovi inceneritori fiammanti versus Bellolampo, di un sindaco inettoindagatoaffittabarcheinnero… ma non di come risolvere i suoi problemi alla radice.

Se anche voi volete una società della consapevolezza aderite alle attività di www.benecollettivo.it.
E per riqualificare la città a partire dalla strada in cui abitiamo “Adotto la mia strada”.

Tutti possiamo provare a pretendere che l’idea di una società garantista ed egualitaria trovi realizzazione.
Io la mia firma l’ho messa; per aiutarmi ad acquisire questa consapevolezza, metterci la faccia, attivarmi e denunciare, oltre a rendermi passivamente conto dello sfacelo.

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