Consenso disinformato

di Francesco Siragusa

Il consenso all’atto medico è un momento importantissimo del rapporto medico-paziente. Dovrebbe sancire, ma non sostituire, il rapporto di fiducia basato su una corretta informazione, anche se questa risulta sempre più difficile in una medicina così specializzata come quella di oggi (art. 13 cod. deontologico: il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche).

La mancanza di una legislazione precisa sul consenso lascia, tuttavia, spazio ad alcune questioni riguardanti l’informazione sul tipo di percorso diagnostico-terapeutico da svolgere: spesso l’informazione è incompleta, vuoi per colpa del medico, vuoi per le “capacità di comprensione” del paziente. Può capitare invece che il paziente sia “troppo” informato: ogni paziente è diverso dall’altro e aver letto su internet di altri casi apparentemente simili non aiuta ad affrontare con chiarezza le difficoltà e le possibili complicanze legate ad un intervento, ad esempio. Inutile raccontare di pazienti che dicono di aver riportato la stessa frattura di Totti giocando a calcetto: “No signore, non è la stessa frattura, lei è in sovrappeso e ha 40 anni”. Un po’ più difficile è spiegare perchè Valentino Rossi viene operato subito ed altri pazienti aspettano una settimana. Ma non mi dilungo oltre con esempi riguardanti la mia specialità (come l’importanza dell’adesione da parte del paziente alla riabilitazione ecc.) e cerco di restare più generale possibile.

Non esiste una legge sul consenso all’atto medico e la giurisprudenza si basa su fondamenti giuridici, che sono comunque interpretabili (la legge è uguale per tutti?).

Facendo un piccolo salto indietro nella storia del consenso, si può trovare in una sentenza del ’92 uno spartiacque, tra il periodo precedente in cui vigeva il principio di beneficialità (il medico agisce sempre per il bene del paziente) e quello attuale in cui vige il principio di autodeterminazione. Secondo quest’ultimo principio, il medico deve dare al paziente la facoltà di autodeterminarsi, in relazione agli articoli 32 e 13 della Costituzione italiana:

art 32:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

art 13:

La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

A seguito di alcune sentenze, dal ’92 in poi, che hanno riportato condanne per lesioni personali dolose e omicidio preterintenzionale, il consenso è diventato il mezzo per rendere lecito l’atto medico: il medico risponde di colpa, mentre risponde di dolo soltanto se agisce senza il consenso del paziente.

Questa situazione ha spinto verso la necessità di una più completa informazione e, a dir la verità, ha spinto anche all’aumento di contenziosi medico-legali.

Ma c’è un limite al principio dell’autodeterminazione?

art 5 del codice civile:

Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

art 54 del codice penale:

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

L’articolo sopra riportato determina la condotta da tenere in uno “Stato di necessità”, ovvero una situazione di emergenza, quando sussista un pericolo (“attuale”) di vità della persona, tuttavia non chiarisce quando il medico possa davvero intervenire: un minuto prima che inizi lo stato di necessità può essere troppo presto e si rischia di essere accusati di lesioni personali dolose! Inutile dire che, se nel caso contrario si agisce troppo tardi…

Questo articolo (e la sua interpretazione) lascia una zona d’ombra, perchè il medico si può trovare nella situazione di dover decidere contro la volontà del paziente (l’esempio classico è una trasfusione in un pz testimone di Geova) per fare quello che ritiene più opportuno.

Cosa ne pensate? Fino a che punto, secondo voi, dovrebbe spingersi la responsabilità di un medico, e in che misura, invece, bisognerebbe rispettare il principio di autodeterminazione?

One thought on “Consenso disinformato

  1. Beh, argomento molto complesso.
    L’uomo che si sostituisce a Dio, accanimento terapeutico, credo personale… sono aromento di discussione animata.
    Io penso che le cure mediche siano un servizio molto particolare da regolamentare per i seguenti motivi:
    -asincronia informativa. Il medico ha molte più informazioni del paziente. Il rapporto si basa sulla fiducia, perchè come la maggior parte dei servizi non si riesce a valutare la prestazione del servizio se non dopo averne usufruito (a posteriori).
    -non esistono 2 casi uguali: ogni uomo è unico, ci sono i “miracolati” e gli uomini di vetro, ognuno ha una storia clinica diversa da un altro, spesso si ha a che fare con un mix di patologie che complicano la terapia.
    -un malato a volte non è in grado di intendere e di volere. Ci sono tanti casi in cui il malato non è lucido, ha paura o più semplicemente non può esprimere il proprio volere.
    -a volte si deve scegliere tra una strada migliore ma rischiosa e un’altra peggiore ma priva di rischi. Tentare il parto e rischiare la morte della madre e del feto oppure abortire e salvare la madre col rischio di aborti futuri? Sono scelte difficili basate sul proprio credo e su basi statistiche non molto solide.
    -la valutazione dei tempi e delle situazioni è molto soggettiva. Quando un intervento è “dovuto” dalla necessità? Difficile valutarlo. Difficile verificarlo a posteriori.

    Purtroppo in medicina ci sono così tante variabili che è inevitabile che ci siano zone d’ombra non ben regolamentate. Al di là delle norme un buon medico, dovrebbe agire secondo coscienza ed i buona fede, ma anche questi sono soggettivi…

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