Delirium veritas (all’aglio di tropea)

La verità esiste? No, non esiste. Sì, e sì e no.

Tu che come me urli a tua nonna di NON mettere una treccia d’aglio rosso nella pasta – ché poi non digerisci, non puoi uscire di casa per due giorni e non puoi parlare con la gente senza stecchirla per terra – e quello che impone lei – sostenendo che a paista chi tennerumi si fa con pomodoro rigorosamente all’aglio (o aglio color pomodoro) – sono due Statuti degni e sacrosanti entrambi. Ed è inutile che strepiti sostenendo che hai ragione e che in questa famiglia non sei mai compreso: anche l’aglio è una questione di angoli visuali. Il problema è capirlo.

Sarà che Galileo ci ha penetrato il cervello con la solita stronzata filocristiana che la natura è un libro in cui è scritta l’essenza più intrinseca della realtà: esiste come dato certo, aprioristico e predeterminato LA ricetta universale per cucinare i tenerumi, quella corretta, e stop. E invece NO, Galileo del cazzo! Esiste come piacciono a me e alla nonna, e manco tutto il resto non è fuffa, è altra cultura. De gustibus. Il grosso problema è capirlo nei pressi dell’ora di pranzo. 
A lui dopo “l’abiuro” la chiesa deve essergli entrata nel cervello, facendogli dimenticare che se anche scientificamente il sole non gira attorno alla terra, se qualcuno dice che così è, così è giusto che così sia, in baffo alla realtà e al telescopio.
REPERTO 2: agghia.Lo stesso dicasi per l’aglio: meglio rosso o bianco, Nubia o Tropea? Io mu manciu solo a crudo, fatto nico nico. No, è meglio cotto. Toglici l’anima accussì diggirisci.
Alla fine ognuno si tiene stretta a buon diritto la sua puzzolente verità esistenziale e iniziano sanguinose crociate pre-prandiali sulla difesa perenne e combattiva della propria veritas alimentare, dell’idea che essa sia certa ed eterna. Immobile e assoluta pasta in sæcula sæculorum, arripudduta sui piatti. …Mangi pasta totalitarista, fascista, Silvista, insomma. Tenerume a regola d’arte, a norma di legge universale, la stessa che dice che la cucina del sud è la migliore e che la dieta mediterranea è la più sana e la cucina polacca invece fa schifo; inoltre, i cinesi cucinano i cani e i giapponesi mangiano gli scarafaggi. La stessa che prescrive che i magistrati sono comunisti, non si discute. E che il vaticano ha sempre ragione e non deve pagare l’Ici, e fine della storia.

Aborti di verdure, sterilità, fine delle trasmissioni, tavole sparecchiate, morte.
Si mangia spattati, si cucinano 3 pietanze, lavastoviglie in panne, madri in via La Loggia, detrazioni dalla paghetta settimanale, protesta e digiuno, disconoscimenti di figli, picchì ccà cumannu io.
L’ordine immutabilmente divino di una verità mortifera è decretato: schemi cristallizzati e diamantini, perfettamente geometrici, storiche eredità che intrappolano menti fluide che puzzano non d’aglio ma di fame. Origine delle guerre a partire da un pranzo frugale.

Poi le lingue di fuoco sulla testa affamata e il compromesso: tv muta e silenziosa (Mengacci non può mettersi a fare il terzo incomodo della domenica del villaggio dicendo che magari al nord ci mettono la cipolla, no, non adesso che stiamo patteggiando). Nella migliore delle ipotesi, si firma l’armistizio su due spicchi piuttosto che cinque a seguito di sentite meditazioni gandhiane e o neo-libertine, di fronte a cui prostrarsi ogni giorno meglio che di fronte a un santino di Yahveh.

A tavola il pater si lamenta che il piatto è scipito, non si sente l’agghia; ma io passo il pomeriggio in pellegrinaggio verso il bagno di servizio.

Esistono molteplici verità, nessun universale, nessun assoluto, nessun principio di non contraddizione. A = A che è = B, C e F al contempo. L’universo è incerto, frammentato, plurimo; le ricette anche. Ma sarebbe stato meglio fare un giorno l’uno, un aglio a te e uno a me.

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Ordine, disordine creativo, dialogo, COMPLESSITÀ’; apprendere dall’esperienza, sperimentazione, falsificazione, convivenza, confronto; “e-e” versus “o-o”, condivisione, negoziazione, compromesso, contraddizione: libertà e galera insieme. Aristotele che beve anche lui la cicuta, che è l’unica possibilità di (co)esistenza.

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