Tutto, ovunque e tutto in una volta

“Everything Everywhere All at Once” è un’opera cinematografica veramente straordinaria, un mix esplosivo di azione, grottesco, sentimenti ed assurdità che riesce a catturare tutte queste sfaccettature in un unico film.

Non avete visto il film? Potete leggere comunque questo articolo, ma vi consiglio di rileggerlo sotto una nuova luce quando avrete guardato il film.

La trama

La trama, senza svelare troppi dettagli, ruota attorno a una famiglia di origini cinesi che gestisce una lavanderia self-service negli Stati Uniti. La protagonista femminile si trova a dover affrontare diverse sfide nella sua vita, tra cui problemi finanziari, una relazione matrimoniale in crisi, conflitti con una figlia moderna e un padre tradizionalista.

Tuttavia, la trama prende una svolta inaspettata e grottesca quando il marito della protagonista viene “posseduto” da una sua versione alternativa, un agente segreto di un mondo parallelo, e gli rivela ciò che c’è oltre il mondo da lei conosciuto. Il film introduce il concetto di multiverso, in cui ogni decisione presa crea un nuovo universo come un butterfly effect continuo, uno sliding doors infinito. La protagonista può attingere alle abilità e alle esperienze delle sue versioni alternative. Questa possibilità la trasforma in una supereroina dalle capacità praticamente illimitate, ma per usarle deve compiere azioni strampalate, grottesche e improbabili. I suoi nemici sono viaggiatori del multiverso e includono sua figlia, rappresentante del caos nichilista, e suo padre, simbolo dell’ordine a tutti i costi.

Le metafore

Il film utilizza sagaci metafore per esplorare temi profondi. Ad esempio, il concetto che i “panni sporchi si lavano in famiglia” viene sovvertito, la famiglia è proprietaria di una lavanderia e noi spettatori possiamo sbirciare dentro l’oblò della loro lavatrice mentre vengono sballottati dagli eventi. Così mentre  si osserva la noiosa routine quotidiana di una famiglia dal ciclo delicato con esclusione della centrifuga avviene l’inaspettato, come  un’improvvisa perdita d’acqua che coinvolge prima una lavatrice, poi le altre accanto, uguali apparentemente, ma con contenuti diversi. E guardare il proprio mondo allagarsi, andare in frantumi come uno specchio che riflette mille immagini discontinue, fa male. Certo ci si può rifugiare nell’immobilità di una vita da pietra, come ha fatto l’asinello in Silvestro e il sassolino magico, e rimanere così deresponsabilizzati, sonnolenti e ignavi. Si può creare il proprio Grande Bagel, che rappresenta il ciclo della vita, cioè della nascita, della morte necessaria e della conseguente rinascita. Ci si mette il tutto, sale quanto basta, e il ciambellone lo ingoia vorace come un buco nero, così da far perdere di significato le piccole cose, nulla è più importante se ci sono infinite copie di noi stessi in altri mondi, perché ci sentiamo piccole formiche in un universo infinito, ovunque, e siamo solo insignificanti istanti di un tempo inenarrabile, tutto in una volta sola, come una cacofonia stonata in cui siamo uno, nessuno e centomila. E questa coscienza deprime, rompe il videogioco come un trucchetto che mostra i nemici dietro i muri o genera monete infinite. Si può decidere di combattere questa depressione, ognuno a suo modo, ognuno con la sua strategia: quella del camaleonte che cambia colore e si adatta all’ambiente, quello del leone che ruggisce o quello del fiore che col suo profumo attira le api. Non c’è una strategia in assoluto migliore dell’altra e a volte vince chi abbraccia, a volte vince chi molla, a volte vince chi parla.

 

In conclusione, “Everything Everywhere All at Once” può non piacere, ma è sicuramente un’opera cinematografica straordinaria che sfida le convenzioni narrative e svela un mondo di possibilità attraverso una trama coinvolgente e una profonda simbologia. È un viaggio stupefacente, emozionante attraverso il multiverso e l’essenza stessa della vita e dell’identità. Un film che sicuramente lascerà il pubblico a riflettere su molti aspetti della sua esistenza, ma solo se avrà superato la glassa di succo d’unicorno che ricopre il bagel e avrà assaggiato il suo interno agrodolce, piccante e salato.

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