CAPITALOCENE – “Ogni volta che mi sento spremuta addosso la violenza”

La signora ha i capelli lunghi, sempre,
e lisci; sempre in punta arricciati
perfetta-mente.
Coi capelli miele-castagno
viene sorridendo mentre a me
duole la pancia.
La consapevolezza non è gratis, mi ricorda
in sala d’attesa,
chiedendo della fattura melliflua,
vaga,
perché “pagamento” sta male, non si dice.

In cassa, chiede se serve fattura.
Nel parlatoio borghese,
domando l’entità del costo
e lei sdegnata, sbalordita,
perché “pagamento” sta male, non si dice,
su di me colpevole
che non ricordo e oso dire
con la carta di debito in mano,
ché
bisogna tacere, pagare e ricordar di pagare.

La bocca storta ex-gentile
punisce serpeggiando:
“Dovrei saperlo!”
E riporta alla sua amara età non fatta di anni, ma
– immagino –
di capelli-serpenti
in raggrinzite scene
di cui o in cui
– a paravento –
si usa adirarsi per parole vittoriane
come se Bella Baxter avesse la “paralisi del guanto”

Ed era l’età del “sesso fa cadere le mani”,
spremuta su un oggi che il miglior sesso è il denaro
e il pene (im)potente il mio bancomat
che deve nutrire di liquido molle gli altri pos,
senza mai dire cosa stiamo facendo
o fecondando,
perché “pagamento” sta male, non si dice,

…e scoprire che stiamo comprando la vita,
anche se tu liberamente la vendi,
peggio.


E ogni volta
io non so che dire.

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