Su Facebook c’è ‘sto gruppo chiamato “Quelli che lavorano in hotel” i cui post variano tra vicende strampalate accadute in hotel o richieste di aiuti o suggerimenti. Tra i vari commenti a volte appariva qualche personaggio che dichiarava di “essersene uscito” proprio per non doversi più trovare in situazioni come quelle descritte nel post in questione. Quando leggevo quelle risposte – per niente offensive, anzi di incoraggiamento – pensavo “c’è vita oltre il turismo?”.
Ed effettivamente è una domanda più che legittima visto che il settore turistico sembra l’unico incline ad offrire carriere ed opportunità lavorative. Hotels, agenzie turistiche, imbarchi traghetti, negozi di souvenirs, ristorantini tipici e chi più ne ha più ne metta: tutto al servizio del turista. Le città, ormai, si stanno trasformando in parchi giochi organizzati ed instagrammabili per offrire al turista un’esperienza a 360 gradi. Succede ormai in tutte le città facilmente raggiungibili da voli low cost e le offerte di lavoro fioccano come non mai. Se vi fate un giro su piattaforme come LinkedIn, Infojobs e simili, tra le figure più ricercate troviamo quelle legate alla ristorazione e alla vendita e promozione di servizi turistici.
Alla domanda se ci fosse vita oltre il turismo, ad oggi posso felicemente rispondere che sí, c’è vita ed è bellissima! Per carità, non voglio sputare sul piatto nel quale ho mangiato per molti anni ma anche io, come le persone che rispondevano a quei post, sono felice di “essermene uscita”. E i motivi sono principalmente due: uno che riguarda la qualità della vita e uno che è più una questione morale.
A livello di qualità di vita non devo più sopportare turni in cui entravo alle 3PM e tornavo a casa a mezzanotte, non avendo tempo di godermi la giornata o di stare col mio compagno, o peggio ancora i turni di notte, dopo i quali alle 8 di mattina dovevo mettermi a dormire con mascherina e tappi per le orecchie. Il lavoro come receptionist non ti abbandona mai, quando esci dall’hotel già stai pensando al turno successivo in cui entra un gruppo o a non dimenticarsi di mettere le culle nella 105 e nella 206, o il fatto che la 403 è intollerante al glutine quindi non devo dimenticarmi di preparare la colazione gluten free, della 307 non devo dimenticarmi che deve darmi il ticket del parking per avere la convenzione, il signore della 103 ha lasciato i vestiti in lavanderia e verrà a prenderseli domani verso le 15:00, al cambio turno dire alla collega che la 404 farà late check-out… È un lavoro logorante che ti occupa la mente quasi h24. Amavo fare questo lavoro, quando mi facevo le stagioni a San Vito ero contenta e mi piaceva intrattenermi con gli ospiti, purtroppo però ultimamente ero arrivata al punto di odiare il turista.
E questo mi porta al secondo motivo, quello morale, per cui ho voluto abbandonare il settore turistico. Quando arrivi all’estremo di una situazione non puoi fare altro che esplodere: arrivare al punto di odiare la gente non è sano. E non è colpa delle persone, è colpa del capitalismo! Quella è la colpa di tutto, in effetti. Il fatto è che negli ultimi anni, grazie alle compagnie low cost che hanno dato la possibilità a molte più persone di spostarsi per visitare nuovi luoghi, il settore turistico ha subito un boom esponenziale al quale non era abituato. Non stiamo parlando di città come New York, Londra, Madrid o Parigi ma di centri più piccoli e che prima erano fuori dai radar del viaggiatore, come Palermo o Siviglia. Nel 2018 la città di Siviglia è stata scelta dalla Lonely Planet come “miglior città da visitare” e in seguito a questo la città ha subito un’invasione di turisti da ogni parte del mondo. Questo ha fatto sí che la città cambiasse faccia.
Nel 2008 quando visitai Siviglia per la prima volta c’erano solo 2 o 3 Starbucks, ad oggi ce ne sono 10. In centro a Siviglia non ci vivono quasi più locals e le abitazioni sono quasi tutte adibite ad appartamenti turistici. I bar e ristoranti “attira-turisti” sono triplicati e il personale viene sfruttato, i contratti sono basici e si lavora in nero. La gente viene buttata fuori di casa (fatto vero) da aziende del settore ed è difficilissimo trovare alloggi decenti a prezzi normali. La gentrificazione ha fatto sí che sia diventato difficile per i residenti autoctoni, soprattutto con un reddito medio-basso, continuare a vivere nelle zone del centro dove gli affitti sono aumentati in risposta all’aumento della domanda.
Ed io, sinceramente, mi ero stancata di far parte di tutto questo. Di una giostra dove eri complice nell’atto di spennare il turista facendo arricchire i pezzi grossi. Lavorare senza una prospettiva di avanzamento di carriera: ero una semplice receptionist e a meno che non avessi fatto masters e tirocinio, non sarei potuta ascendere a ruolo di Manager. Ho dovuto lottare per avere ciò che mi spettava: sono ancora in causa per la retribuzione delle ore notturne lavorate. Nonostante mio padre ci abbia fatto campare una famiglia, lavorando nel settore dei servizi turistici, io non ne ho voluto più far parte.
Turni impossibili, ore extra, festivi non retribuiti, domeniche non pagate, dover sempre abbassare la testa, subire umiliazioni, 8 ore in piedi, non aver tempo di andare in bagno. Sacrificare amicizie, uscite, hobbies. Per cosa? Per fare arricchire un’altra persona a scapito mio e del sistema.
Adesso faccio lo stesso ma vivo meglio: sono una pedina di un sistema pensato per far arricchire altre persone. Però almeno adesso esco dall’ufficio alle cinque, di pomeriggio sia chiaro, se lavoro la domenica me la pagano, se lavoro un festivo me lo pagano e in più mi danno un giorno libero – che carini! Sono riuscita, in 7 mesi, di avanzare di carriera, infatti adesso sono manager di un gruppo. Posso coltivare amicizie, hobbies e vivere come una persona normale e non come una che ti risponde alle 4 di notte ad un messaggio inviato un giorno che facevo pomeriggio. Ah, e guadagno più di quanto guadagnava la mia capo receptionist. Ma soprattutto non mi porto a casa il lavoro: esco dall’edificio e la mia mente è libera.
Ciao Cristina,
Mi ricollego al tuo post, e alle città che stanno perdendo la propria identità.
Guardo, il quartiere che mi ha visto nascere, e mi viene una malinconia assurda.
Negli anni ’80. il Capo era ancora in piedi, lo sarebbe stato ancora per pochissimo, ma fedele più o meno a quello conosciuto dai miei nonni e da mia madre.
I negozi, partivano da Porta Carini e arrivavano fino in piazza Beati Paoli e ad attraversarlo tutto partivi picciriddo ed arrivavi uomo.
Ad otto anni, cercando di raggiungere Porta Carini da casa mia, strusciavo la faccia nelle gonne di donne/nonne con la “pancera”, incrociando gente che teneva in mano i sacchetti con i coppi di cartone di frutta e verdura a “milli liri” al chilo.
Le abbanniate erano quelle arabe, canti simili alle messe in latino. Non lo posso spiegare, ma sono cambiate pure quelle.
Certo, c’erano i muri di contenimento in tutti i palazzi, ancora diroccati tra guerra e terremoto, strade buie, ed un degrado onnipresente, e lasciare una casa pericolante per una casa popolare, ci parse quasi un miracolo.
Adesso, se passi dal Cortile Giorgio il Greco, al Capo, quel palazzo pericolante, che dal 1990 non ha più avuto bambini che correvano da una stanza all’altra, è un palazzo restaurato e un B&B su tre piani a 100 euro a notte.
Felice che l’abbiano recuperato dopo 20 anni di degrado, per carità, ma come il Capo, non me la sento di esultare a questa “nuova era” di Menu a 10 euro, e posti tutti uguali. Rivoglio il Capo in cui sentivo l’odore delle olive di Castelvetrano, il pane del panificio Lucchese; le vecchiette all’angolo vestite di nero con le sedie sulle porte, la “fontana del baglio di San Giovanuzzo” sempre piena di picciriddi che giocano schizzandosi l’acqua. Non c’è niente di tutto questo, solo rumore di trolley, “cumarche” di turisti tutti uguali: gli stessi di Roma, New York, Siviglia…
E tutto questo mi mette tanta tristezza.
Un abbraccio,