(continua)
Dicevo della gentilezza fulminante incontrata a Londra.
Ancora oggi, a 1 mese dal mio rientro, mi manca. Perché da noi, dicevo, non accade questo, da noi non ci sono certi sorrisi; al massimo le tutele sono tirate, sgarbate; magari ci si riempie di cibo e si paga per l’altro, ma non si rallenta per ridere né per aiutare, almeno non così spesso.
Diciamo che qui il conctto di gentilezza è strano, un po’ perverso. Se sei gentile, infatti, sei spesso scambiato per stupido e ingenuo, preso poco sul serio nella tua adultità; diciamo, anzi, che vieni preso per babbeo, nonché per pollo da spennare. Similmente, se sei puntuale nei pagamenti, sei considerato stupido, ancor più pollo, poco furbo… Idem se chiedi scontrino o se paghi col Pos…
A Londra abbiamo invece scoperto che è strano il contrario, ovvero pagare in contanti. Questione di igiene e di igiene etica, morale, di legalità, probabilmente.
Queste cose “civili”, comunque, qui non sono valorizzate, ma avvengono solo su richiesta e sono appannaggio, secondo il mio popolo, di persona stupidina e poco furba… non di persona gentile e onesta!
Da giovinetta, io ero chiamata, appunto, “la babba” e presa un poco per il culo. Da adulta ho scartato l’alone di compiacenza compreso nella mia gentilezza e abbracciato la medesima, a fianco dell’assertività, come stile di vita, del tipo che ringrazio per strada chi mi dà la precedenza anche con un gesto, che dico sempre “mi scusi” o “grazie”. Una mia paziente una volta mi chiese: “ma lei perché mi sorride ogni volta che mi apre la porta?”; “…perché non dovrei?”, ho risposto… E in effetti… perché non dovremmo? Perché dovremmo essere sgarbati come la cassiera biondo-ruvida del Déco di via Sampolo, che si mutria se sono ecologica e non voglio i suoi sacchetti o se controllo lo scontrino (dati i loro frequenti errori)? Cosa le costerebbero un sorriso e una carineria?
Ho 2 idee in tal senso:
- Una riguarda la qualità della vita:
Probabilmente, noi siciliani siamo troppo presi dal pulirci il coltello delle nostre irrisolutezze sulla pelle dell’altro: popolo lamentoso anche nel non verbale, irrisolto e colonizzato, represso e sottosviluppato economicamente/socialmente… che proietta il proprio vissuto depressivo in ogni dove. E non è forse questo miope egoismo? Per di più iatrogeno. - Una concerne la differenza tra “accogliere” e “accettare”:
Dopo varie esperienze di (sincera, ma inconscia) repulsione dell’Altro viste accadere da parte di stimati amici nei confronti, ad esempio, di persone che venivano a trovarci/aiutarci oppure subite da parte di amici in casi in cui era difficile immedesimarsi nel mio momento di vita (basti pensare alla gente che sai che, a modo suo, ti vuol bene, ma che non può fare a meno di sparire tipo quando diventi genitore), mi son detta che forse non siamo genti tanto dotate della decantata capacità di accoglienza siciliana… tendiamo piuttosto ad “accettare” e ad “apparire”.
Vorrei però concentrarmi in particolare sulla differenza tra “accogliere” e “accettare”. “Accogliere” ha a che fare con un “raccogliere, acconsentire, ciò che si riceve” e mi sembra abbia una accezione più attiva, assertiva appunto, di presenza di colui che compie l’azione indicata (“accogliere”, appunto). “Accettare” significa invece “acconsentire a ricevere qualcosa o qualcuno oppure a fare qualcosa”, e mi sembra abbia un senso più passivo, come di scelta a “subire” qualcosa che è già presente. Chiaramente sono, queste, mie intuizioni che non hanno a che fare direttamente con l’etimologia, semmai con l’interpretazione culturale che io posso dare alla stessa. Per me, insomma, il siciliano-medio accetta, spesso a denti stretti; ed anche quando è qualcosa a suo favore, è talmente reattivo, inconsapevolmente oppositivo rispetto all’accettare, stufo e con un senso claustrofobico del vincolo, che si volta come un cane o rimane mutriato e diffidente; e questo penso anche vista anche la nostra atavica cultura mafioso-paranoidea, che ci ha abituato a subire in modo prono e a non fidarsi di niente e nessuno, nonché a non parlare (poiché “a menza parola è chidda ca un si rici” e “moglie e buoi sono meglio dei paesi tuoi”, altresì detto: “megglio sempre a famigghia” versus estraneo).
Non vorrei peccare mai né di campanilismo né di esterofilia; prendo solo a prestito, in giorni bui come questi, la meraviglia sperimentata Altrove, ove mi sono sentita “sicura” e “fiduciosa” (trad.: “confident”) e chiedo quindi il favore non non raccontarci storielle auto-compiacenti: smettiamo di pensare che siamo accoglienti e guardiamoci allo specchio, diciamoci la verità: siamo spesso dei cafoni!
A partire da tale consapevolezza, potremmo forse lavorare sulle profonda e autentica – leggasi “disinteressata”, cara capital-trumpiana Meloni! – accoglienza dell’Altro (turista o alieno che sia)…