Tornare alla realtà: i feticisti di Jobs e gli operai*

Quando la radio (quanto sono anacronistico) ha incominciato a comunicarmi della morte di Jobs, un brivido mi aveva posseduto. Quello dell’incoscienza. Ma fortunatamente mi appassionano le reazioni della gente, prediligendo sopratutto le visioni critiche, ed esco a cercare di munirmi di un’illuminante connessione.

Facebook è inondato di commenti pro e “molto” contro la vita del notissimo imprenditore-inventore-furbacchione Steve Jobs e inizio a pensare che se fossi rimasto a casa non mi sarei goduto questo lecito sparlare del morto di turno.

Povero, è morto di cancro, ha rivoluzionato il concetto di computer.

Eppure ricordo qualche frammento del bel film “I pirati di Sylicon Valley”, in cui i due famigerati geni dell’informatica, Gates & Jobs, erano sopratutto abili compratori di idee già di qualcun altro.

Incrocio un saggio di WuMing1 pubblicato giorni prima sul blog. Lunghissimo, lo leggo tutto e inizio a riflettere. Inizio a pensare che per essere manovrati, noi utenti ingenui della pubblicità e dei mezzi di comunicazione, ci vuole ben poco.

Per esempio, è più semplice per chi utilizza ancora la tv e non ha mai smesso di farlo: basta fargli vedere la gente disperata, bastano le parole strappalacrime del commentatore, un certo moralismo di bassa lega e abbiamo “bella e impacchettata” la mediocrità fatta persona.

Per chi legge riviste o sul web, sono i titoloni a lettere cubitali, un click sulla foto shock, sull’articolo shock, sul video shock, gli obbligati motivi per “informarsi” sono simili allo sbirciare dal buco della serratura: occhi aperti sul dolore, tra il porno e il sesso, nella violenza, nel volgare, mai la cultura o le belle parole di qualcuno.

Dicevo, leggendo quel saggio, pensavo che molte cose ci sfuggono di mano.

Wuming1 si sofferma su un mondo a noi estraneo anche se ne facciamo ampiamente parte e funziona praticamente grazie a noi.

In precedenza ne ho parlato pure qui .

Noi siamo utenti di un circuito capitalista ma non veniamo pagati, perché non ne sappiamo nulla dei movimenti che ci stanno attorno, siamo rincoglioniti dall’uso piacevole del mezzo di comunicazione, della sua efficacia, ma sarebbe bene che ci accorgessimo di quanto Facebook voglia prendersi una fetta sempre più ampia del web, come del resto Google. Una fetta ampia di libertà.

Wuming1 cita ripetutamente “Il capitale” di Marx e accosta la vicenda della Apple (i diversi suicidi della Foxconn che assemblava Ipad, Ipod, …) a quella di Amazon (condizioni pessime di lavoro, sfruttamento) e il punto è questo:

“Come dovevasi sospettare, il “miracolo”-Amazon (super-sconti, spedizioni velocissime, “coda lunga”, offerta apparentemente infinita) si regge sullo sfruttamento di forza-lavoro in condizioni vessatorie, pericolose, umilianti. Proprio come il “miracolo”-Walmart, il “miracolo”-Marchionne e qualunque altro miracolo aziendale ci abbiano propinato i media nel corso degli anni.
Quanto appena scritto dovrebbe essere ovvio, eppure non lo è. Il disvelamento non riguarda un’azienda qualsiasi, ma Amazon, sorta di “gigante buono” di cui – anche in Italia – si è sempre parlato in modo acritico, quando non adorante e populista.”

Dietro grandi progetti, in cui circola lavoro e profitto, e nello stesso tempo un grande favore da parte del pubblico-utente, ci possono essere diversi motivi per stare allerta. Wu ming1 usa il termine “Feticismo della merce”, che è il concetto stesso al quale sono arrivati gli “appassionati” dei prodotti firmati Apple.

Un amore malsano, oltre che costoso, per un prodotto che dal suo creatore propugnava libertà e che poi chiudeva le porte ai software di altri sistemi operativi. Un amore che prevedeva affetto e attaccamento o, meglio, dipendenza?

Ma chi ha lavorato alla Apple qualche cattivo ricordo l’ha pure conservato, nonostante il lutto, come leggo in un trafiletto di Repubblica in cui Jobs a quanto pare si mostrava severo e particolarmente autoritario.

Sono notizie scomode quando c’è di mezzo la perdita e il dolore, ma pur sempre opinioni da ascoltare almeno.

Si cerchi di restare con i piedi per terra, anche se continueremo a comprare, a produrre (per altri che mai ci pagheranno), ed è giusto vivere il presente con tutti i mezzi adeguati al tempo, ma troviamoci un buon motivo per cercare la controparte o “contronarrazione” quando sentiamo lo straparlare di un genio, inventore, promotore della libertà, perché spesso la realtà è ben altra.

Una soluzione reale (?):

“se stiamo “dentro e contro” la rete, forse possiamo trovare il modo di allearci con coloro che sono sfruttati a monte.

Un’alleanza mondiale tra “attivisti digitali”, lavoratori cognitivi e operai dell’industria elettronica sarebbe, per i padroni della rete, la cosa più spaventosa…”

… l’antica lotta degli operai.

*Il post è una riflessione sul saggio di Wuming1Feticismo della merce digitale e sfruttamento nascosto: i casi Amazon e Applepubblicato su Giap dal quale riprende le citazioni.

6 thoughts on “Tornare alla realtà: i feticisti di Jobs e gli operai*

  1. Nel libro di Naomi Klain “No Logo” è ampiamente spiegata la tecnica del “feticismo della merce” indotta dalle aziende tramite la pubblicità. Grandi imprese come la Nike, Wallmart ecc spendono il 90% del budjet in campagne pubblicitarie e solo il 10% nella produzione.

    • “Si, vedete, la mancanza di titoloni illustra molto bene la futilità del mondo di oggi e i valori del tutto capovolti che esso esprime. E se il futuro ci pare arduo, anzi quasi angoscioso lo dobbiamo anche al fatto che la sostanza viene nascosta da astute e intriganti confezioni. I pacchi del XXI° secolo.”

      Se sei un Vip ti meriti i titoloni, al contrario i trafiletti o “le pietre” (cit.)

  2. Gas Giaramita: dopo aver letto il tuo articolo mi è venuto in mente uno dei più famosi brani di John Cage: “4’43”. Il commento dell’autore al proprio brano fu: “I have nothing to say. And I am saying it.” Te lo volevo consigliare perchè a tuttora, che io sappia, in quanto ad efficacia comunicativa questo brano è inarrivato, per chi voglia dire qualcosa senza in realtà avere alcunché da dire.

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