Etic-hetta! – Compra con coscienza – parte 2

Abbiamo parlato nel precedente articolo di etichette che contraddistinguono prodotti “eticamente migliori”, ecologici, equosolidali, che rispettano la natura, etc.
In questo articolo e nei successivi continueremo a parlare delle informazioni, a volte illegibili, che possono aiutarci nella scelta del prodotto giusto, contenute nelle etichette: data di scadenza, ingredienti, tabella nutrizionale, luogo di produzione, etc.
Parleremo anche di informazioni che sarebbe opportuno riportare obbligatoriamente su alcuni prodotti, ma che attualmente sono poco chiare o facoltative, ma anche delle idee utili a migliorare il processo di acquisto e consumo.

Data di scadenza, TMC, e data di confezionamento
Distinguiamo la dicitura “da consumarsi entro”, vera e propria data di scadenza oltre la quale il prodotto non può più essere venduto o consumato se non a rischio di pericolo per la salute del consumatore, con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” (in inglese “best before)”, che è un termine minimo di conservazione (TMC) oltre il quale un alimento perde aspetto e caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto, quindi non c’è rischio per la sicurezza. Spesso queste date vengono confuse, le diciture e le date non sono una in prossimità dell’altra (ad es. da consumarsi preferibilmente entro vedi data a lato).

Non è obbligatorio riportare alcuna data per frutta e verdura fresca, vino, aceto, sale, zucchero, bevande alcoliche con volume superiore al 10%, gomma da masticare, prodotti da banco quali salumi e formaggi e prodotti da forno e di pasticceria freschi. Spesso però i prodotti preconfezionati acquistabili nei supermercati, ad esempio, il formaggio in vassoio avvolto da pellicola, riportano anche la data di confezionamento e obbligatoriamente la temperatura di conservazione.
Le date di scadenza e di TMC sono valide soltanto se i prodotti sono conservati nel modo corretto, temperature comprese nei limiti minimi e massimi, condizioni di luce e umidità corrette, in alcuni prodotti è possibiile leggere l’avvertenza “conservare in luogo fresco e asciutto”. Ma che certezza abbiamo che durante la catena di fornitura, che va dal produttore al punto di distribuzione del prodotto, le condizioni di conservazione siano state rispettate? In alcuni supermercati è possibile vedere le bottiglie d’acqua impilate sui pallett di legno all’aperto, esposte alla luce del sole. Lo sapevate che le bottiglie PET esposiste per un tempo prolungato al sole rilasciano nell’acqua sostanze dannose per la salute del consumatore? Conservare e trasportare in modo scorretto alimenti è reato, anche se si tratta di liquidi alimentari come acqua, vino e olio. La stessa cosa si può dire dei farmaci che devono essere conservati a temperature che variano da farmaco a farmaco. Come ha recentemente dimostrato un’inchiesta delle Iene show, non c’è alcun controllo sulla corretta conservazione dei farmaci; ciò avviene anche per i farmaci salva-vita, anticancro, del valore di 1700 euro a scatoletta, che possono infatti essere trasportati e conservati senza l’utilizzo dei mezzi idonei a mantenere la corretta temperatura del farmaco vanificando così gli effetti curativi o addirittura rendendolo tossico. Persino creme e cosmetici hanno una data di durata minima (contraddistinta da un pittogramma rappresentante una clessidra), o ddm, che se superiore ai 30 mesi diventa PaO, Period after Opening, cioè la durata di conservazione massima una volta aperta la confezione (contraddistinta da un simbolo rappresentante un barattolo aperto).

ddm e PaO
ddm e PaO riportati sui cosmetici

Prodotti, alimentari e non, ufficialmente non scaduti possono essere pertanto nocivi se non vengono conservati correttamente.

Quali sono le possibili soluzioni a questo e altri problemi legati al deperimento dei prodotti?

Per i liquidi alimentari preferite bottiglie in vetro o lattine a confezioni in plastica, meglio confezioni colorate (es. olio in bottiglia di vetro scuro, è vero che non si vede il contenuto, ma il colore lo protegge dai raggi solari), facilmente riciclabili (evitate confezioni multistrato o con più materiali).

Le date di scadenza dovrebbero essere facilmente individuate in modo da poter controllare se il prodotto è scaduto senza dover girare e rigirare la confezione alla ricerca di un numero che a volte è sul tappo, a volte in fondo alla busta, a volte impresso a caldo, a volte è illegibile. Un’ idea potebbe essere quella di imporre che tutti i prodotti riportino un simbolo, per esempio un calendario, di facile individuazione accanto alla tabella nutrizionale, con una data e un bollino, rosso per scadenza, giallo per TMC. Date di facile lettura sarebbero utili sia in fase d’acquisto sia dopo l’acquisto in modo da verificare più semplicemente i prodotti che scadono.

Per i prodotti sensibili a temperatura o esposizione ai raggi solari occorrerebbe, oltre al buon senso di produttori e partecipanti alla catena di fornitura, un bollino che sbiadisca progressivamente con l’esposizione prolungata al sole o a temperature fuori dai valori minimi e massimi consentiti per una conservazione corretta.

Una pratica utile per evitare di dimenticarci in qualche angolo poco visibile del frigo o della dispensa un prodotto alimentare e trovarlo così scaduto, che oltre ad essere uno spreco incrementa la quantità di rifiuti, consiste nel segnarci in un apposito calendario le scadenze dei prodotti che entrano in casa nostra. Sebbene anche la tecnologia può darci una mano, esistono numerose Apps multipiattaforma che funzionano come una normale agenda con allarmi per i prodotti in scadenza, non è certamente semplice, allo stato attuale, trovare la data di scadenza di 3 sacchi di prodotti diversi, e man mano che i prodotti vengono consumati depennarli ad uno ad uno per non correre il rischio di cercare in tutti gli angoli della casa un pacco di biscotti in scadenza in realtà già consumato.

Una soluzione tecnologicamente già adottabile è quella di dotare la confezione di ciascun prodotto di un RFID, Radio Frequency IDentification, cioè dei dispositivi in grado di trasmettere, anche passivamente, quindi senza l’ausilio di alcuna batteria, informazioni sui prodotti quali il codice prodotto (come già fa il codice a barre), ingredienti e data di scadenza. Un lettore/scrittore di RFID invia un segnale radio che alimenta il circuito del RFID che trasmette a sua volta una risposta (o modifica le informazioni in esso contenute). L’RFID potrà essere usato in futuro per numerose applicazioni, alcune delle quali inimagginabili attualmente; lo possiamo già trovare su prodotti di maggior valore in quanto viene utilizzato come sistema anticontraffazione/antitaccheggio. La mia personale idea è che rivoluzionerà, assieme ad altre tecnologie, il nostro modo di vivere. Pensate, per esempio, che meraviglia passare con il carrello pieno in cassa al supermercato e conoscere il prezzo da pagare in un paio di secondi o che il lettore in cassa vi segnali se avete acquistato prodotti già scaduti o in scadenza. Immaginate poi di tornare a casa e riporre la spesa nei vari mobili, frigorifero e freezer, ciascuno dotato di un piccolo lettore di RFID che vi avviserà, per esempio, che le crespelle alla pizzaiola appena comprate contengono acciughe in pasta (che voi non mangiate) e che la mozzarella acquistata qualche giorno fa scade domani.

I due lati di un RFID Radio Frequency IDentification

L’unico attuale ostacolo al diffondersi di questa tecnologia è il costo di ogni RFID, che è in diminuzione, ma che attualmente costa 10-15 volte il suo principale concorrente, il codice a barre. Quanto costa però ai supermercati controllare le date di scadenza della merce? Con un sistema automatico si potrebbero scontare automaticamente le merci in scadenza, con minore spreco e un guadagno per tutti. Quanto costa il tempo perso in fila alla cassa? E quanto sprechiamo dimenticandoci dei prodotti in scadenza? Credo che globalmente il guadagno sarebbe maggiore dei costi. E se venissero realizzati RFID riciclabili o a “rendere” sarebbe già una soluzione realizzabile.

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