Vintage, o dell’insostenibile difficoltà di vivere il presente

Siamo nel 2012: l’odissea nello spazio è finita da un pezzo; da qualche mese siamo anche ritornati al futuro, ma su auto che non volano e più o meno inquinano come vent’anni fa; e di androidi e robot che puliscono casa al posto nostro ne vedo pochini in giro.
Nel frattempo, l’ossessione del 2000 è stata debolmente soppiantata dall’attesa per il compiersi della profezia Maya, ma si vocifera già che il mondo non finirà a dicembre. Insomma, siamo già nel futuro. Finalmente ci troviamo a vivere i giorni tanto mitizzati da decine di film e romanzi fantascientifici e distopici.
E noi, nuove generazioni X di disoccupati cronici, invece di essere tutti contenti per aver raggiunto l’agognato traguardo, che facciamo?
Ci lasciamo prendere da un’inspiegabile nostalgia retrò, tentando, spesso pateticamente, di far rivivere lo spirito di decenni ormai lontani.

Tutto ciò ha un nome: vintage. Che di per sé significa “vendemmia”, e in francese indica i vini d’annata di pregio. Ma per traslazione, almeno nel campo del lifestyle, è passato ad indicare «un oggetto prodotto almeno vent’anni prima del momento attuale» (grazie Wikipedia). Praticamente, sono oggetti (vestiti, accessori, auto, moto, persino certa “tecnologia”, sic!) che tornano in auge grazie al loro fascino, alla loro capacità di riportare chi li usa indietro nel tempo.
In altri termini, oggetti cult, che fanno sentire cool, o fighi.
Che si tratti di coloratissimi jeans a zampa d’elefante, di walkman mal funzionanti, o di una serata a tema in discoteca, guai a pensare che il vintage sia solo una moda effimera o esteriore, buona per alimentare i mercatini dell’usato. Sarebbe riduttivo. Semmai, c’è da chiedersi se sia sufficiente circondarsi di determinati oggetti per ricreare lo spirito di un’epoca, lo zeitgeist. Ma qui sconfiniamo (un po’ troppo) nella sociologia!
Sotto sotto, dunque, c’è molto di più che un temporaneo ritorno di fiamma prettamente consumistico per gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones. Qualcosa che affonda forse le radici in un malessere più interiore, in uno spleen generazionale.
Forse che tutto ”sto gran parlare del futuro ce l’abbia fatto venire a noia?
Possibile. Del resto, si sa, le cose son più belle quando sono solo immaginate. E così, se fino al 2000 vivevamo nell’attesa spasmodica del nuovo millennio, fantasticando chissà quali sconvolgenti novità, da un paio d’anni l’entusiasmo s’è spento ed è cominciata la fuga in un passato arcadico ricostruito accuratamente in laboratorio.
Creiamo macchine fotografiche sempre più performanti e poi sporchiamo le foto con effetti e app invecchianti; siamo schiavi del digitale, ma su Ebay sborsiamo fior di quattrini per accaparrarci il calore di un vinile gracchiante. Insomma, abbiamo i mezzi ma non sappiamo crearci uno stile. Vittime di un’inconfessabile insoddisfazione dei nostri tempi, ripudiamo il presente e cerchiamo di rifugiarci in un passato d’oro, che tale ci sembra solo perché non l’abbiamo vissuto. Internet, social network e mass media invece di avvicinare la gente, la allontanano e la isolano, frammentano e disperdono le conoscenze. Per esempio, nel mondo della musica: Napster e il peer-to-peer hanno reso la musica alla portata di tutti, ma la quantità ha finito per imporsi sulla qualità.

Non sarà che l’eccesso di tecnologia sta soffocando la nostra immaginazione e creatività?
Cosicché, invece di creare qualcosa che possa un giorno identificare la nostra epoca, preferiamo rifarci al passato e crearci un’identità posticcia?

Parafrasando Raf, che sociologo non è, ma un certo acume pop gli si deve riconoscere: cosa resterà di questi anni a doppio zero?

4 thoughts on “Vintage, o dell’insostenibile difficoltà di vivere il presente

  1. I sogni sul futuro, il bisogno di cose sempre nuove e poi la delusione per il “nuovo”. Ciò che hai sempre fantasticato sul tuo letto ad occhi aperti.. ecco che arriva, deludendoti. Il “nulladichè”, il nulla di speciale. E allora cominci a pensare che il passato era “speciale” e che, probabilmente tutta quella roba non servirà mai a nulla, ma ti fa sentire bene, ti rassicura, ti fa ricordare qualcosa, ti fa sentire importante ed unico. E intanto, siamo, però, schiavi delle nuove tecnologie, dei social network e di tutto ciò che è nuovo. Scrivere ciò che si pensa, fotografare ciò che si mangia, con chi si è, dove si è, pensando che fa figo, cercando approvazione, ma poi cosa resta? Il vuoto. Un senso incolmabile di vuoto che ti rende solo. Cosa resterà degli anni a doppio zero? Noi dentro un cubo ad osservare ciò che c’è all’esterno, attraverso un qualsiasi dispositivo di ultima generazione. O noi, liberi, all’esterno del cubo, comunicando come una volta, cercando un ritorno alle origini. Chi potrà dirlo? (deliri mattutini)

  2. Siamo nati postmoderni! Servirebbero nuovi stimoli, che secondo me “vengono facendo”, perché molto spesso certe cose non s’arrivano neppure a immaginare se non si hanno, seppur banali, cognizioni della realtà. Favolosa l’espressione “spleen generazionale”… bisogna darsi una svegliata, rimboccarsi le maniche e buttarsi! Forse andare a sentimento è la scelta più giusta…soprattutto per vivere il presente.

  3. >> Non sarà che l’eccesso di tecnologia sta soffocando la nostra immaginazione e creatività? Cosicché, invece di creare qualcosa che possa un giorno identificare la nostra epoca, preferiamo rifarci al passato e crearci un’identità posticcia?

    no.
    Casomai il tentativo evidente da parte degli investitori del web di renderlo passivo come se fosse la televisione ( ci avete mai fatto caso? prima su internet si cercavano le cose, oggi con i social si subiscono le cose, è come stare davanti alla tv).
    Da un punto di vista tecnologico non c’è nulla di particolarmente nuovo.
    E un innovazione radicale del modo di usarla , una degenerazione a mio avviso, “eterno Settembre” lo chiamavamo negli anni ’90 ed è quindi un problema Sociologico e non tecnico.
    Ma in ogni caso non credo che ci stia soffocando… quelli che oggi si rincoglioniscono di social 20 anni fa si sarebbero rincoglioniti di tv.

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