In my shoes

 

11005965_10204540062196200_356976338_nIo amo le persone empatiche. Peccato ce ne siano proprio pochine a questo mondo.
Oggi ho letto uno status su facebook che mi ha aperto gli occhi. La questione in soldoni era: “Tizio vodafone mi chiama per farmi un’offerta imperdibile, gli dico che non m’interessa (giustamente, ndr) e lui mi manda a cagare, lo stesso faccio io a mia volta! Assurdo, incredibile, ma viri chi cc’è ccà e via dicendo.

I commenti ovviamente erano unanimi, tutti volti ad appoggiare la malcapitata del vastaso di turno. Comprensibile, diciamo. Poi ci ragioni meglio e ti passano davanti scene apocalittiche di poveri cristi davanti un monitor, con le cuffiette. Un sospiro e l’ennesimo cliente da chiamare. Il povero cristo spera con tutto se stesso che il cliente:
A) non lo mandi a cagare;
B) non gli attacchi il telefono in faccia;
C) lo faccia parlare come un pirla per poi mandarlo a cagare ugualmente.
L’eventualità di fissare un appuntamento è talmente remota che il povero cristo non la prende neanche lontanamente in considerazione.

Squillo, squillo… Pronto?
Eh sì, signora…
Ah, non m’interessa…
E lì il povero cristo smette di ragionare, anzi vorrebbe buttare tutti i santi dal paradiso, a uno a uno, per chiedergli che cazzo deve fare uno pe’ campa’.

Così, incurante delle conseguenze, per la prima volta da quando lavora col culo incastrato in una sedia, le cuffiette che gli fanno prudere le orecchie e un monitor che gli brucia gli occhi, il povero cristo sbrocca e manda la cliente a quel paese.
Discutibile ma liberatorio.
E lì viene fuori l’empatia o la totale assenza di questa. Mi ritrovo a difenderlo “poraccio, fa un lavoro di merda… io dopo due ore bestemmierei nuda con gente attorno che mi butta acqua santa”.

Mostri empatia quando tu, sola contro tutti, difendi l’indifendibile.
Per esempio difendi il rom che fa capolino nello status di un’altra. Alla malcapitata, stavolta, “li zingari” hanno rubato il portafoglio.
Difficile riuscire a difendere un soggetto che va in metro a ripulire le tasche dei passeggeri, lungi da me farlo, ma alla fine è più forte di me e timidamente dico: “Beh, anche gli italiani rubano… E dato che siamo nettamente superiori di numero è possibile che vi siano più delinquenti italiani che rom”. Uso la logica o la matematica, ma in entrambe scarseggio.
La mia empatia, anche questa volta, non trova compagni di merende: vengo io stessa definita piaga sociale. “Quannu c’era mussolini..” mi ribatte un ragazzino di ventitré lune.
E lì mi cadono le braccia, mi chiedo: che sia io quella sbagliata? No, Rosita, sei solo affetta da empatia acuta e non c’è niente di male in questo. La mia coscienza prova a rassicurarmi sul fatto che il mondo ha bisogno di empatia perché senza questa non capiresti mai il dramma di morire per ipotermia su un barcone al largo di Lampedusa. Saresti un Salvini qualsiasi che sui social vomita veleno e si augura più morti.

Il mondo ha bisogno d’empatia per vivere. L’empatia è l’ossigeno che inspiriamo prima di buttare fuori l’anidride carbonica: l’odio, l’indifferenza, la mancanza della benché minima capacità di riflessione. Usiamo la pancia per parlare, agire, indignarci. La testa, quella mai. La lasciamo agli sfigati che vivono in un mondo a parte fatto di persone che almeno ci provano a camminare nelle tue scarpe*, se poi le scarpe sono strette, pazienza.

L’empatia sconfiggerà la guerra. Se mi mettessi nei panni di una madre libica o siriana o afghana, come potrei permettere che un cacciabombardiere mi distrugga casa e mi uccida i figli?
Non m’illudo, ma aspetto, aspetto che si aprano gli occhi, le orecchie, i cuori e che si chiudano le pance.
Io aspetto, non deludetemi.

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* Walking in someone’s else shoes è una frase idiomatica inglese, corrispondente all’italiano “mettersi nei panni dell’altro”.

5 thoughts on “In my shoes

  1. mi piace tanto. so che l’empatia spesso sfocia nel buonismo e nella compiacenza,ma questa non é legge di natura,e si presa che davvero,prima o poi,costruisca VITA.

    e appena ho un attimo ti cerco anche robe teoriche e di ricerca che ne parlano lo termini rivelatori *__*

  2. Attimo. Io mi metto nei panni di chi fa questo lavoro di outbound. Per questo non mi sono mai permesso di rispondere in maniera sgarbata a chi mi chiama per propormi offerte. Nel momento però in cui lui per primo ti manda a cagare è lui che non si mette nei tuoi panni ed egocentrizza la visione. Io non potrei fare questo lavoro proprio perché empaticamente mi metto nei panni della persona che dovrei andare a chiamare. Lavoro per me è offrire un servizio. Chiamo una persona che non ha richiesto il mio servizio, cui non offro in effetti un servizio ma importuno (di fatto questo faccio) per arrivare a raggiungere una quota di contratti su cui prendo una misera commissione da schiavo del cotonificio moderno chiamato call center. Io “importunato” non ti mando a cagare perché capisco la frustrazione della tua situazione, il logorio e lo sfruttamento, ma tu non ti puoi permettere di mandarmi a vagare se io mi limito a dire civilmente che non sono interessato all’offerta. O sfoghi la tua rabbia con i giusti destinatari, cioè chi ti sfrutta, o te la tieni per necessità ma non te la prendi con me, incolpevole. Sarei più empatico con uno che prende a bastonate qualcuno che lo tartassa che non con chi sfoga inopportunamente la sua frustrazione.

  3. Trovo che la capacità di mettersi nei panni degli altri sia una capacità eccezionale della mente umana (e non solo!). Mi ricordo di qualche esperimento di empatia, sia con animali che con bambini: si trattava di indovinare la scelta dell’altro. Non è così banale, e non tutti i soggetti mostravano empatia, era complesso, ma si trattava di ragionare sul “se io fossi in lui”.
    Ricordo qualcosa del genere:
    L’ “indovino” (il bambino o animale) si trovava in una stanza, c’erano 3 tazze, e “l’altro” nascondeva un premio in una delle 3, poi usciva ed entrava un altro che aggiungeva altre 2 tazze (evidentemente vuote) tutto avveniva sotto l’occhio dell’indovino. Veniva chiesto poi di indovinare in quale delle 5 tazze si trovava il premio. Solo una modesta percentuale riusciva a fare un ragionamento “l’altro poteva mettere il premio solo in una delle 3 tazze”, la maggior parte sceglieva semplicemente una delle 5 ragionando nei panni propri.

    Io sono fortemente empatico, per qualcuno “buonista”, giustifico tutto e tutti, anche gli indifendibili. Io rispondo però che non giustifico, comprendo o cerco di comprendere i motivi, il background che porta ad un’azione scorretta (ad esempio). E le comprensione aiuta a trovare soluzioni e ad accettare più serenamente ciò che ci capita. Ad esempio un tizio sgarbato di un call center non mi tocca più e lo compatisco (nel senso che so che lavoro di merda sia, e quanto possa tirar fuori il peggio).

    L’empatia in me trova radici profonde, grazie all’empatia (animale in questo caso) sono vegetariano.

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