Sui Matti

Per raggiungere il centro cittadino prendi i bus o te la fai a piedi. T’imbatti, a volte, in alcune persone che all’inizio possono sembrare un po’ stranine e, sperando di sbagliarti, tenti di adottare un punto di vista più attento, senza pregiudizi, ma piano piano ti rendi conto che hanno qualche problema, lo capisci da come si muovono, da come si relazionano, e alla fine puoi vantarti di avere una collezione di incontri davvero particolari.

Parlo di quelle persone che fino a poco tempo fa sarebbero state rinchiuse in manicomio, o meglio negli Ospedali Psichiatrici, luoghi di perdizione per gente che aveva perso già se stessa, dove avveniva quel processo di involuzione totale degli individui, che smettevano di essere tali. Citando il Prof. La Barbera: “Inoltre la risposta terapeutica non era calibrata sui singoli utenti, ma le regole erano mirate ad uniformare i comportamenti dei ricoverati”.

Oggi è molto frequente, vi giuro, trovarsi di fronte a gente “disturbata”, e credetemi non voglio offendere questa minoranza che anzi sono sicuro che, se si trovasse interamente a partecipare a soluzioni di recupero, come case famiglia, terapie… migliorerebbe il proprio stare al mondo e con gli altri. Non si nasconde un mostro dentro ognuno di noi, ma qualcosa di buono che va ricercato ed alimentato. Loro e noi, non siamo così diversi, siamo la stessa cosa, frutti di uno stesso albero e come tali meritiamo tutti lo stesso trattamento.

Purtroppo, tralasciando per un po’ i miei sogni di uguaglianza, quello che sono costretto a vedere sui bus o per la strada sono un uomo che parla ad alta voce o canta, ha uno sguardo fisso nel vuoto; un anziano, poco curato, che indossa tre paia di occhiali come fosse normale e vorrebbe che gli altri gli dicessero che gli stanno bene, lui sorride un po’ mentre dall’altro lato incontra solo sguardi terrorizzati; ancora, un trentenne che passa il suo tempo a salutare la gente, o meglio sembra che sappia dire solo “buongiorno, buongiorno” o altre robe similmente ripetute all’infinito. Un altro, infine, che ti fissa in continuazione, ti urla i coretti da stadio proprio in faccia e poi ti chiede se provieni da Catania (era il giorno del derby), e tranquillizzatosi dopo che lo vedevo abbastanza agitato, si mette a parlare del Palermo, e di altre cose che non riesce a farmi capire.

Un giorno, accade anche questo, una coppia di anziani si trova sotto i portici della stazione centrale, un normalissimo mattino pieno di gente, ed un uomo “qualunque” col martello in mano fracassa la testa all’anziano uomo.

Rispetto chiunque ma mi aspetto che determinati individui, soprattutto nei casi più gravi, non vengano lasciati soli, e dall’altro lato, nei casi per così dire più lievi, non si dovrebbe negare loro una partecipazione attiva alle relazioni sociali, e perchè no, al mondo del lavoro.

Aut Aut

O gli istituti di igiene mentale sono poco presenti nel territorio o come al solito, la Provincia, la Regione, lo Stato o Babbo Natale non danno i fondi adeguati, perchè, si sa, bisogna tagliare e tagliare ancora sui progetti pubblici. Ma non fossilizziamoci sempre sulle critiche all’Italia e alle sue istituzioni fatiscenti.

L’istituzione che già dal basso della sua micro-struttura di società parte male, è quella della famiglia, che pare, sopratutto nelle case più povere, non riuscire a convivere con il problema della sanità mentale. La gente che ho incontrato per strada non proveniva, a mio vedere, dall’alta borghesia, né dalla classe media, ma da case povere ed altri, invece, sembravano proprio non avere nessuno, fantasmi senza meta aiutati dal passante di turno. Mi sforzo di pensare che sia difficile considerare e poi accettare di avere messo al mondo un figlio malato che devi crescere, accudire. Ci vuole pazienza e una grande forza d’animo. Ma ci vuole anche un aiuto esterno in modo tale che si capisca cosa fare e cosa no. Fortunatamente dal 1978 esistono dei provvedimenti di legge (n.180/1978, Accertamenti e Trattamenti Sanitari Volontari ed Obbligatori e successivamente la n. 833/1978, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) che in sintesi hanno deciso la chiusura dei manicomi ed un trattamento migliore che rispetta questa “tipologia” di malati, eguagliandoli nei diritti e nei privilegi a tutti gli altri. Ma quel che conta di più è che sia sparita la segregazione e che oggi il malato abbia le sue libertà e il diritto ad essere controllato dai competenti del settore, e che possa ottenere la riabilitazione e la sua famiglia gli aiuti adeguati.

Sembra quindi che quel che ho visto io, passeggiando, me lo sia sognato. Ma non è così, la verità è che qualcosa manca. Innanzitutto queste famiglie dovrebbero venir a conoscenza di tutte le possibilità che lo Stato offre attraverso una pubblicità più attiva, e nello stesso tempo le province dovrebbero fare la loro parte. Perchè se chiudi i centri di recupero, mandi allo sfascio istituti perchè non possono pagarsi i loro progetti o le banali spese, quelle leggi non servono a niente. E continuerò a vedermi passare di lato individui che non sanno chi sono e per quale dannato motivo stanno al mondo.

2 thoughts on “Sui Matti

  1. Purtroppo,nonostante disegni di legge e cose simili, tra il dire e il fare c’è come sempre una voragine. Le famiglie di coloro che sono affetti da disturbi mentali non sono quasi mai aiutate! La loro vita viene sacrificata per sempre, e non credo si possa minimamente immaginare cosa vuol dire vivere vedendo una persona a cui vuoi bene in certe condizioni senza impazzire tu stesso. E non c’è nessuno,tranne poche associazioni di volontari che li aiutano.
    Vicino casa di mia zia abita un uomo,ormai anziano,che si porta sempre dietro il figlio di 50 anni,affetto da un ritardo mentale che lo ha fatto retrocedere all’età di 2 anni. E si può vedere la fatica di uomo che non riesce più a stare dietro al figlio,perché il suo corpo e la sua mente non glielo consentono più. Riesce a malapena a tenerlo per mano o a tirarlo via quando sull’autobus disturba gli altri passeggeri. ‘Sto pover’uomo ha perso la sua vita dietro questo figlio, e non potrà neanche morire in pace, perché vive con l’angoscia che quando lui non ci sarà più nessuno si prenderà cura di quel povero Cristo.

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