E’ strano… di un’aria strana, che non si sa quanto mi appartenga e quanto no.
Mi riferisco a questo sentirsi orfani, in lutto, abbandonati.
C’è sicuramente una narrazione mainstream. Una di quelle che, se non ci stai un po’ attento, ti lasciano depresso sul ciglio della camera mortuaria ove centinaia di fedeli e non piangono uno degli ultimi aneliti di umanità fatta carne. L’agnello di Dio. Chiaramente sacrificatosi sulle braci o griglie o barbecue di questi giorni. Su questa, possiamo far finta di parlare solo (e facilmente, mainstream anche questo!) dei campi di guerra, ma invero parlo anche delle quotidiane barbarie di indifferenza che giacciono sotte le arrostute sfregolanti. …E non mi sto riferendo a principi di vegan-getarianesimo. Sto parlando direttamente dell’indifferenza nei confronti del dolore, dello stare insieme, dell’umanità che ci tocca il gomito in un qualunque supermercato. Come quel tizio col panino da pagare, maleducato, arrogante. Supera, forte del suo panino, ben 2 persone senza chiedere, senza gentilezza, né cortesia, rabbioso semmai per il mio appunto. Perché “essere umani in un mondo di umani” significa questo: essere gentili, vedersi in mezzo agli altri, non come un singleman che esiste solo lui, di per se stesso. Ovviamente, dalla cassa del mercato super si passa alle questioni politiche, alle politiche del mare & del mondo e a quelle papali, ad esempio.
Tuttavia, ci tengo: è strano; è una di quelle situazioni che, se non ci stai un po’ attento, ti lasciano depresso sul ciglio della camera mortuaria a dire che non ci ne sarà nessuno come lui, nessun altro a proteggerci, nessuno a cogliere che cosa è la vera religione al di là dei dogmi e dei paramenti fariseistici!
E’, in effetti, un batter d’occhio e il cerimoniale è bell’è fatto con i famigerati sepolcri imbiancati, tipo scenette trumpiane varie (incluso l’unico abito non da lutto a sottolineare il me ne sbatto che è la sua firma), etc. Bisogna fare attenzione: ci si sente facilmente vittime inermi di tutto questo. Depressi, appunto. sul ciglio della camera mortuaria di Papa Francesco, come se, morto lui, come i vari grandi, se ne andassero sempre più pezzi (e pezzi sempre più decisivi), di un certo modo di stare nel mondo. E come se, mentre ciò accade, noi non avessimo che da rimanere lì: piccoli dipendenti indifesi senza la sua e loro spada etica, destinati a perire o ad obbedire. Senza speranza! E sobriamente, dicevano.
Possibile. Probabile che accada. Soprattutto se vediamo il lutto e la morte come la fine di tutto, come un manto nero avvolgente da cui è impossibile fuoriuscire a respirare. Ci stiamo dentro, imbrigliati, embricati, legati con le redini. Ce ne restiamo lì al buio, a piangere… “E’ la fine!”.
Non sto disdegnando il lavoro del lutto o il dolore.
Sto però dicendo di fare attenzione a questa narrazione della perdita e della perdizione eterna che ci lascia annichiliti di fronte alla mancanza. Che figure come Gandhi o come lui o come Peppino Impastato e tanti altri che non ho conosciuto ci manchino è non solo ovvio, ma pure necessario. Tuttavia, affinché la mancanza non sia un buco, una voragine inesauribile di nulla, è fondamentale raccogliere gli esempi a piene mani, attivamente.
Come dice sempre Girolamo Lo Verso, mio professore e amico di Giovanni Falcone, non dobbiamo parlare di lui come di un “eroe”, poiché ciò toglie umanità e ci impedisce di concepirci nella possibilità di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per lottare come lui/loro hanno lottato, per impegnarci come ci è stato mostrato essere possibile.
Ecco, il punto è questo: mi sento in lutto, anche se non sono mai stata troppo vicina alla chiesa. E’ umano, ma in alcune punte di sfiducia (pensieri sotterranei come: “e adesso cosa accadrà? Oddio, sono preoccupata… andrà male, sarà peggio, siamo nei guai, ho paura, etc.”) ciò esonda, diviene inquietudine sociale e disperante e a tratti esita il non senso. Temo che ciò derivi dall’influenzamento di una retorica nazional-popolare che ci vuole bloccati in Poverinyland, lontani dalla possibilità di concepirci capaci di fare qualsiasi cosa per impegnarci come ci è stato mostrato essere possibile; lontani da una cittadinanza attiva che si sente capace di reagire, di riflettere su se stessa e di essere padrona del proprio presente e futuro.
Quindi, io mi sento in lutto, anche se non sono mai stata troppo vicina alla chiesa, e va bene così fino a un certo punto, poiché comunque agli uomini (e a quelli come pare che fosse questo Papa) sono vicina, eccome. Il lutto è per questo, ma non voglio che sia un lutto vuoto o il trauma del non contenimento definitivo.
Ritengo che dovremmo iniziare a pensare che queste narrazioni offuscano le nostre capacità, il nostro senso di responsabilità e di potere competente nell’essere agEnti attivi di un’etica umanissima, di cambiaMenti. Non sto parlando di rivoluzioni, ma, diceva Bion, di fare ciò che si può con quello (anche poco) che c’è. Questo è umano, questo è attivismo, questo è nuovo e dà un senso al lutto che sa vivere il dolore per venirne fuori! Se invece ci resti avvoltolato dentro attendendo il prossimo Messia, nulla ha avuto senso di quelle vite luminose, partigiane o fituse. Se ti scopri nel tuo piccolo attivista, parte di una comunità planetaria, predicatore in questo senso di bontà, di parole e atti complessi, in grado di osservare, prendere posizioni e onorare i punti di vista, senza lasciarsi imbruttire dai neo-valori che donano successo… lo sei.
…Qui devo confessare di averci messo un po’ a dirmi, appunto, attivista. Non sembrava mai abbastanza. Non rispetto a un “glorioso” passato di presenza, di manifestazioni, di gruppalità volontaristiche varie.
A un certo punto, ho accettato che tutto va commisurato realisticamente alle energie, alle fasi della vita e alla non-compiacenza verso certe idee di sé. Ciò che posso, lo faccio e non mi tiro indietro. Creo modi di stare insieme; lo faccio senza pensare al guadagno ogni volta che posso; lo faccio soprattutto con parole buone e compassionevoli e con altre persone (il mio giardino fiorito! “Nessuno si salva da solo!”) che credono in questo come me e da cui ho imparato a dire che sono un’attivista e che sì, sono un po’ a lutto anch’io, ma non schiacciata dalla morte del Papa (e di ciò che rappresenta in termini di pericolo di morte di certi valori), perché possono esserci tanti modi di NON sentirsi definitivamente spa(p)esati, di non sentirsi perduti poiché privi di Papi, capi, leader degni e autorevoli.
Prima di tutto, abbisogna uscire da questi assetti dipendenti, avviliti, stressati e tristaboldi e scoprirsi, nel proprio piccolo, fieri e attivi Responsabili/Giardinieri di se stessi e dell’Umanità di cui si fa parte.